La crescita ancora non si vede Il lavoro c'è solo per il governo

Per l'Istat il Pil 2014 resta negativo e la disoccupazione vola ai massimi storici (13,2%) Anche se il premier fa finta di niente ed esalta i 100mila occupati in più da febbraio

RomaAnche quest'anno saremo più poveri dell'anno prima. Il Pil (cioè la ricchezza prodotta in 12 mesi) diminuirà dello 0,3%. Lo dice l'Istat annunciando che nel quarto trimestre dell'anno non ci sarà crescita.

Visto l'andamento dell'economia reale, le ripercussioni sul mondo del lavoro sono immediate. Sempre l'Istituto nazionale di statistica rivela che il tasso di disoccupazione in ottobre è salito al 13,2%: in aumento dello 0,3% sul mese precedente, e in crescita di un punto rispetto allo scorso anno.

Ed è proprio l'andamento congiunturale del 2014 (mancata crescita e tasso di disoccupazione in salita) a favorire il cerchiobottismo contenuto nella valutazione della Commissione europea sui conti pubblici nostrani. Nella sostanza, l'Italia viene autorizzata a non rispettare i Trattati per l'andamento negativo dell'economia di quest'anno (sono le cosiddette circostanze eccezionali , nel lessico di Bruxelles).

Ma deve rafforzare le misure di risanamento nel 2015, pena - in marzo - l'avvio di una non meglio identificata procedura europea. Per cosa? C'è l'imbarazzo della scelta: per deficit eccessivo o per mancato rispetto della riduzione del debito; oppure per tutt'e due. «L'Italia resta una sorvegliata speciale», ha spiegato il commissario Ue, Moscovici.

Guarda caso, l'avvertimento proprio nel giorno in cui il governo chiede il voto di fiducia sulla legge di Stabilità (in realtà, saranno tre su altrettanti emendamenti del governo), in programma per oggi.

Il cerchiobottismo della Commissione si sviluppa sul fronte lessicale e semantico. Chiarito che l'Italia non rispetta il fiscal compact (per la riduzione del debito) e non centra nemmeno gli obiettivi di riduzione di deficit previsti dal Patto di Stabilità, la Commissione evita di mandare il Paese «sotto procedura». Ma avverte il governo che si attende «ulteriori progressi» sul fronte del risanamento. Insomma, vorrebbe che la legge di Stabilità venisse rafforzata sul fronte della manovra. Di quanto? Secondo gli uomini di Bruxelles, di almeno 0,2/0,3% punti di Pil. Fra i 3 e i 5 miliardi di euro.

La Commissione, però, ha analizzato la prima versione della legge di Stabilità. Non quella che verrà votata domani da Montecitorio. Che dovrebbe contenere - ha assicurato il ministro dell'Economia - proprio la correzione richiesta.

Se così fosse, la correzione del deficit strutturale per il 2015 sarebbe dello 0,4%. A Bruxelles, però, trattati alla mano, dicono che questa dev'essere portata allo 0,5%. Insomma, si sta battagliando su uno «0,1 per cento» sul deficit strutturale. Mentre quello nominale (indicato al 2,6% nel 2015) «è significativamente al di sopra dell'1,8% previsto».

Ben diversa la situazione del debito. Senza privatizzazioni e senza miglioramento del saldo strutturale (quello previsto dalla manovra è meno della metà di quello atteso), l'Italia non rispetta il fiscal compact .

La Commissione Ue lo sa bene. Ma non interviene. E rinvia ogni giudizio a marzo. «A quel punto decideremo se è necessario adottare ulteriori misure», ha sottolineato Moscovici. E ha spiegato che le eventuali “procedure” non sono state decise in quanto l'Italia le avrebbe potuto contestare. A marzo, invece, «avremo un quadro più chiaro sul mantenimento degli impegni da parte dei Paesi». Come a dire: se non intervenite in tempo con la legge di Stabilità, a marzo scatta la procedura. Nelle condizioni italiane, anche i bilanci di Francia, Spagna, Belgio, Austria, Malta e Portogallo.

Con un particolare.

Tutti gli altri governi coinvolti non sono intervenuti a commentare le critiche di Bruxelles o, tantomeno, l'andamento del tasso di disoccupazione. Quello italiani l'ha fatto. Il ministero dell'Economia ha espresso apprezzamento per il giudizio della Commissione. Mentre Renzi ha sottolineato come da quando risiede a Palazzo Chigi ci sono «100mila occupati in più».

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