Cresceremo meno, in questo 2022 ancora pieno di spine da Covid. Come tutti, l'Italia si scopre più debole e sente che il prospettato rinascimento post-pandemia sta perdendo forza, fino al punto da mettere in dubbio la possibilità di centrare tutti gli obiettivi inseriti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Colpa delle tre streghe che ancora tengono sotto scacco l'economia mondiale: l'alta e crescente inflazione, provocata soprattutto dalla corsa dei prezzi delle materie prime e destinata a esplodere in caso di conflitto tra Russia e Ucraina; la variante Omicron, con il corollario di contagi e restrizioni a impattare sul mercato del lavoro; gli irrisolti nodi nelle catene di approvvigionamenti che impediscono l'incrocio ottimale fra domanda e offerta.
Una triade negativa, e persistente, che ha costretto il Fondo monetario internazionale a rimettere le mani sulle previsioni di crescita formulate lo scorso ottobre. Il taglio di mezzo punto a livello globale riposiziona le lancette del Pil a un +4,4%. L'Italia sta sotto la media, con un 3,8% (limatura di 0,4 punti rispetto all'outlook precedente) che allinea le stime dell'Fmi con quelle di Bankitalia e le allontana dalle aspettative del governo (4%). In prospettiva, la situazione potrebbe però peggiorare, nonostante l'organismo guidato da Gita Gopinath accrediti il nostro Paese di una migliore performance l'anno prossimo, quando la crescita dovrebbe attestarsi al 2,2% contro l'1,6% calcolato in autunno. Come andrà, non dipenderà solo da noi. La Cina (+4,8%, 0,8 punti in meno), alle prese con una difficile gestione della crisi immobiliare e con la scarsa brillantezza dei consumi, potrebbe presentare un conto salato a tutti. Così come gli Usa, già colpiti dalla scure del Fondo (+4%, l'1,2% in meno). Molto dipenderà dalla Federal Reserve, che nella riunione di oggi manda in soffitta l'era della politica monetaria ultra-accomodante. L'ipotesi di quattro (o anche più) rialzi dei tassi, accompagnata da una riduzione aggressiva del bilancio, ha tagliato le gambe al Toro di Wall Street. E dopo il colpo di reni di lunedì scorso, New York è di nuovo crollata ieri sotto il peso delle vendite (-1% il Dow Jones, -3% il Nasdaq a un'ora dalla chiusura), mentre l'Europa ha ripreso fiato senza troppa convinzione (+0,8% l'Eurostoxx600, +0,22% Piazza Affari)
Se la lotta contro l'inflazione da parte della Fed dovesse provocare una recessione, l'Italia ne subirebbe le conseguenze. Già fin d'ora qualcosa scricchiola. Il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, ha messo le mani avanti: «Il 2022 è un anno cruciale sotto tanti punti di vista, ma anche per una possibile revisione dei Piani di ripresa presentati dai vari Paesi, alla luce di eventi eccezionali, uno dei quali è il forte aumento dei prezzi delle materie prime, che metterà sotto pressione gli enti appaltatori e che potrebbe richiedere, a livello europeo e nazionale, un aggiustamento dei Piani presentati l'anno scorso». Per poter beneficiare della tranche da 40 miliardi prevista dal Next Generation Ue, alla penisola è richiesto per quest'anno di portare a termine 102 obiettivi del Pnrr, di cui 66 sono imperniati sulle riforme.
I desiderata di Roma cozzano con l'intransigenza del vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis. In base ai calcoli di Bruxelles, l'aumento della spesa corrente nel nostro Paese è pari all'1,5% del Pil. Troppo.
«La nostra posizione - ha spiegato Dombrovskis - è assicurare che le misure di supporto siano temporanee e mirate e che non lascino un onore permanente sulle finanze pubbliche. Quando le condizioni lo permettono è necessario ridurre il deficit e far diminuire il debito».
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