Una scusa un po' raffazzonata. Le “tensioni” che fanno dire cose errate. Lo scaricabarile sulla giornalista che “enfatizza” il contenuto delle dichiarazioni. Infine il “rammarico” per l’incidente di percorso nella speranza che l’inciampo non produca un taglio delle teste. Non c’è solo la lettera spedita ad Andrea Urbani dal ministro della Salute, e rivelata ieri dal Giornale.it, sull’ormai mitologico “piano segreto”. Nel faldone di documenti prodotti dall’Avvocatura dello Stato nel ricorso al Consiglio di Stato emerge anche la risposta che il direttore generale della Programmazione inviò preoccupato per giustificare quella “incauta” intervista.
Siamo al 22 aprile, sede del ministero della Salute. Il giorno prima, il 21, il Corriere ha pubblicato le dichiarazioni di Urbani sul “piano nazionale emergenza” per contrastare il coronavirus. Pagine in cui “sono scritti gli orientamenti programmatici che hanno ispirato le scelte del governo”, con tanto di “scenari” talmente “drammatici” da non poter essere divulgati. E quindi secretati. Dopo le rivelazioni del direttore generale della Prevenzione il mondo politico e mediatico è in subbuglio. Cosa c’era scritto in quel “Piano”? E se il governo sapeva che il virus avrebbe travolto l’Italia, perché non l’ha mostrato ai cittadini? E perché Urbani ha ben pensato di rendere pubblica l’esistenza di questo documento proprio adesso?
Sulla scrivania di Urbani c’è la missiva ricevuta da Speranza (leggi qui). Il tono è duro, non ammette repliche. Il ministro è infuriato. Ritiene le affermazioni rilasciate dal dg alla stampa siano “erronee”, visto che si riferiscono “ad uno studio in corso di definizione”, “non validato da alcun soggetto pubblico” e “non adottato”. Non un “Piano”, dunque. Solo uno “studio” in divenire. Speranza si mostra indignato perché, “ove si trattasse di un atto secretato”, il suo direttore avrebbe “violato le più basilari regole di correttezza e diligenza” dei dipendenti pubblici. E avrebbe anche provocato “una situazione di forte disagio istituzionale anche tenuto delle possibili ripercussioni delle sue affermazioni sull’opinione pubblica”. Come in effetti è stato. Urbani risponde il giorno successivo per fornire la sua versione dei fatti. “Mi rendo conto che nella congerie di avvenimenti - si legge - e nelle tensioni del lavoro che ci impegna da diversi mesi sono stato portato a rilasciare dichiarazioni il cui contenuto è stato enfatizzato in alcuni aspetti significativi dalla giornalista”.
Non si capisce, però, per quale motivo una cronista avrebbe dovuto esagerare frasi che, già di per sé, sono sufficienti a garantire un titolo da prima pagina. Perché citare un atto ‘secretato’ se non vi era alcun segreto? E perché parlare di “Piano” se era solo uno “studio”? Quanto riportato nel pezzo, peraltro, non verrà mai smentito ufficialmente da Urbani. Solo ritrattato. “Ho utilizzato l’espressione ‘piano secretato’ - scrive al ministro - in quanto il ‘piano’ era in elaborazione e il ‘secretato’ era riferito alle modalità con le quali operava il Comitato tecnico scientifico nei propri lavori”.
Qualcosa però non torna. È vero che in quei frangenti il Cts lavorava “nell’ombra”, e che espressamente chiese la riservatezza sul “Piano nazionale di risposta ad una eventuale epidemia da Covid-19”. Ma quel Piano nasce a metà febbraio come ricostruito nel Libro nero del Coronavirus (clicca qui): il 12 viene dato mandato a un gruppo di realizzarlo, il 20 febbraio lo presentano in bozza a Speranza e il 2 marzo il Cts lo approva nella sua prima “versione finale”. Urbani parlava invece di un documento di gennaio. Cosa conteneva? Posto che non si tratta di un errore di datazione (nell’intero ricorso al Consiglio di Stato, l’avvocatura non prende mai in considerazione questa ipotesi), cosa è quell’atto cui si riferiva Urbani? E poi: è veramente del 20 gennaio o successivo? Per Speranza la “necessità di elaborare uno studio” emerge “durante i lavori della task force”, quindi dopo il 22 febbraio, ma non spiega esattamente quando. Lo si potrebbe evincere dai verbali della task force, peccato non siano pubblici.
Per l’avvocatura l’incomprensione sta nel fatto che il direttore generale si riferiva alle “prime bozze elaborative di un futuro eventuale Piano, bozze che sono confluite, perdendo ogni distinguibilità, in ulteriori e successive più ampie elaborazioni”. Cioè nel Piano vero e proprio redatto dal Cts. Ma come è possibile che il dottor Urbani se ne vada tranquillamente ai giornali a dire che sin "dal 20 gennaio” c'era "un piano secretato” spacciando per "pronta" una brutta copia? Ce ne vuole di fegato per far passare una banale “bozza” per un piano riservato, no? Inoltre il dirigente assicurò che "quel piano" era stato "seguito" nelle prime fasi dell’epidemia. Ma come si può "applicare" una bozza?
In attesa che il puzzle si componga del tutto, restano alcuni interrogativi e poche certezze. Una di queste è che, nonostante lo scivolone mediatico, Urbani è rimasto saldamente al suo posto. "Non ha chiesto scusa - attacca Galeazzo Bignami, deputato FdI - ma soprattutto non ha smentito quanto detto in quella intervista: è arrivato il momento di chiarire agli italiani come stanno le cose. Chissà se ad evitare scossoni è servita la missiva di scuse piena di “rammarico” per l'“incidente di percorso”.
“Da parte mia - scriveva preoccupato ad aprile il dg - non incide sul telaio di rapporti istituzionali e, spero, anche personali che si sono instaurati in questo periodo di collaborazione, segnato da un evento di dimensioni impensabili ed epocali, che ci ha visto entrambi impegnati all’estremo”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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