Quando in gioco c'è così tanto, è evidente che non possa esserci nulla di facile. E proprio quando nuovi spiragli di dialogo sembrano rendere meno in salita la strada verso la pace, ecco che la maledetta guerra riporta la parola pace in un angolo. Missili, morte, distruzioni e prove di forza reciproche vanno avanti senza sosta. Alle richieste verbali degli ucraini, i russi rispondono con bombardamenti a tappeto. Fa parte del gioco. Macabro e terribile quanto si vuole, ma arrivare al tavolo delle trattative in posizione di forza è pratica comune da quando le guerre esistono. La giornata di ieri però segna un punto tragico nel gioco di equilibri che potrebbe aprire la strada al dialogo.
Si è giocata su due fronti. Volodymyr Zelensky, sul palcoscenico del G20, snocciola la sua ricetta. «C'è una formula ucraina per la pace. E c'è una serie di soluzioni per garantirla davvero», ha detto, presentando una lista di 10 richieste. «1. Sicurezza dalle radiazioni e dal nucleare 2. Sicurezza alimentare 3. Sicurezza energetica 4. Rilascio di tutti i prigionieri e deportati 5. Attuazione della Carta delle Nazioni Unite e ripristino dell'integrità territoriale dell'Ucraina e dell'ordine mondiale 6. Ritiro delle truppe russe e cessazione delle ostilità 7. Ritorno della giustizia 8. Contrasto all'ecocidio 9. Prevenire l'escalation 10. Fissare la fine della guerra». Un discorso a cui ha assistito anche il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov che ha subito replicato come da manuale dicendo che «la Russia non si rifiuta di negoziare ma è Kiev a rifiutarsi di percorrere questa strada». Lavrov ha definito «irrealistiche» le condizioni poste da Zelensky per poi criticare un po' tutto l'Occidente cinico e cattivo perché non impone la resa all'Ucraina. Tesi rilanciata anche da Putin: «I tentativi di alcuni Paesi di riscrivere la storia del mondo diventano aggressivi e mirano a indebolire la Russia». Il contro commento è arrivato dal braccio destro di Zelensky Podolyak, che ha risposto a muso duro: «È la Federazione Russa quella che ha invaso. La Federazione Russa bombarda le nostre città. La Federazione Russa commette genocidio distruggendo l'infrastruttura energetica. Ma l'Ucraina sta trascinando il conflitto?».
Fosse solo così, gli spiragli ci sarebbero, al di là delle schermaglie. Ma ieri i russi hanno voluto far vedere all'Ucraina e al mondo che restano forti, pericolosi e che non hanno intenzione di trattare, eventualmente, da posizioni di debolezza. Quasi in risposta alle parole di Zelensky, attacchi missilistici russi hanno colpito la capitale Kiev e le regioni di Chernihiv e di Mykolaiv. 100 missili, come accaduto un mese fa, in un giorno solo. Nonostante l'arsenale del Cremlino sia tutt'altro che pieno. Nonostante la voglia di pace che arrivava da Bali. «Le forze di difesa aerea ucraine hanno abbattuto 73 missili da crociera del nemico, oltre a 10 droni iraniani, durante un massiccio attacco della Russia», fa sapere il comando dell'aeronautica ucraina. Ma la sostanza drammatica non cambia, con palazzi distrutti, civili morti e feriti e altri danni alle infrastrutture energetiche che mettono in ginocchio l'Ucraina.
Eppure, il dialogo c'è, anche se l'ottimismo dei giorni scorsi lascia spazio allo sconforto con fonti Usa che parlano di mesi (almeno fino a marzo) prima di arrivare un dialogo vero e proprio. Secondo quanto riporta la Cnn su fonti dell'intelligence americana, i russi avrebbero aspettato il voto di midterm prima di annunciare il ritiro da Kherson, per evitare di dare un vantaggio elettorale al presidente americano Joe Biden. Segno della voglia russa di interferire sul voto ma anche di non voler lasciare campo libero a Biden in eventuali trattative. Il compromesso resta la chiave. Raggiungerlo è difficile, specie alla luce dei fatti di ieri. Difficile, come redarre il documento finale che sarà licenziato dal G20.
Il termine «guerra» è il vulnus su quale Russia e Cina fanno più resistenza e che forse sarà attenuato. Il termine «pace», anche tutti ci puntano, resta lontano. Perché tra guerra e pace, c'è in mezzo una pioggia di missili. E l'incubo di un'escalation globale.
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