San Paolo - «È lo stesso monaco solo con un abito diverso», spiega al telefono Frank Abel García, sindacalista e giornalista indipendente - due attività tutt'altro che facili a l'Avana - quando gli chiedo del «cambiamento storico» che, da ieri, per la prima volta in 59 anni ha portato ufficialmente alla presidenza di Cuba qualcuno che non fa Castro di cognome. E in effetti, a camminare ieri per le strade della capitale cubana, pochi minuti dopo il primo discorso del 57enne neopresidente Miguel Díaz-Canel trasmesso in diretta dalla tv di Stato, la percezione era di assoluta normalità, solo con molti più ragazzini in giro visto che questo è il periodo delle «vacanze di metà trimestre» e le scuole sono chiuse.
Ed allora ecco che, come in qualsiasi altro giorno - visti anche i prezzi differenziati per i cubani - di fronte alla gelateria Coppelia centinaia di famiglie con pargoli al seguito si mettevano in fila per acquistare la classica coppia di gusti «fragola e cioccolato», un'icona che ha dato persino il nome al primo film cubano candidato all'Oscar, nel 1995. E proprio mentre Díaz-Canel confermava quanto detto da García, ovvero «che le decisioni più importanti le continuerà a prendere Raúl Castro, che rimane l'attuale leader del processo rivoluzionario», Adelina col suo taxi scassatissimo continuava a portare in giro turisti, come fa da ormai un decennio. Lei rimpiange gli anni 80 quando il regime l'aveva mandata a studiare nella ex DDR, i fastosi anni 70 quando Coppelia vendeva «mica solo fragola e cioccolato ma un centinaio di altri gusti, fatti con latte vero», gli epici 60 quando «le case dell'Avana non crollavano per la pioggia» e si dice convinta che «Camilo Cienfuegos fu ucciso solo perché era più popolare di Fidel Castro».
Amava i Beatles e i Rolling Stones il giovane capellone Díaz-Canel quando portare il taglio lungo e ascoltare quella musica imperialista era malvisto dal regime - lo testimoniano oggi i suoi ex vicini di Santa Clara, dov'era nato il 20 aprile - eppure nel suo primo discorso da presidente, ieri, ha tenuto subito a chiarire che «non ci sarà nessuno spazio per chi vuole una restaurazione capitalista». Lo sapevano già gli abitanti di Santiago de Cuba che, invece di credere all'ennesimo «cambiamento storico» virtuale, ieri spettegolavano sul possibile trasferimento di Raúl Castro nella loro città ma, soprattutto, si lamentavano per la mancanza di sale da cucina in vendita nei negozi.
Stessa indifferenza verso il nuovo presidente percepibile anche nel quartiere di Timba, uno dei più miseri dell'Avana, dove invece quasi tutti i discorsi ieri erano incentrati sull'arrivo nei mercati rionali delle uova, dopo una settimana in cui sono state letteralmente un miraggio. «Ora speriamo migliori l'economia» e «non manchi più cibo» le risposte standard dei cubani intervistati in strada dalle decine di inviati stranieri arrivati all'Avana per la nomina di Díaz-Canel, unico dirigente che fatta carriera non ha cambiato casa, continuando ad andare al lavoro in bici, almeno fino a ieri. Ma che sarà «lo stesso monaco solo con un abito diverso» visto che Raul rimarrà per altri quattro anni segretario generale del PCC, il partito comunista che a Cuba comanda sicuramente più dell'esecutivo che ne è solo una diramazione.
Per non dire del figlio di Raúl, Alejandro Castro, che continuerà a controllare polizia ed apparato repressivo, o dell'ex genero del presidente uscente, il generale Luis Alberto Rodríguez, che resta alla guida della GAESA, la holding militare che domina l'economia cubana.
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