Un primo ma deciso segnale Mario Draghi lo aveva già dato martedì. Quando si era presentato alla Casa Bianca per il faccia a faccia con Joe Biden portando in dote un quesito tanto semplice quanto eloquente: «La gente vuole sapere cosa possiamo concretamente fare per la pace». Un concetto che aveva ribadito a favore di telecamere nelle brevi dichiarazioni alla stampa nello Studio Ovale (prima del bilaterale con il presidente americano) e su cui è tornato ieri, durante una conferenza stampa all'ambasciata italiana a Washington. In maniera netta e risoluta, come a voler sgombrare il campo da eventuali dubbi o incertezze in proposito. È nel preambolo, ancora prima che inizino le domande dei giornalisti, che il premier mette infatti in chiaro la sua posizione: «Occorre cominciare a chiedersi come si costruisce la pace».
Draghi, insomma, sceglie di sposare in pieno la linea europea, tracciata con nettezza negli ultimi giorni da Emmanuel Macron. Il presidente francese non ha dalla sua solo l'autorevolezza che gli deriva dalla recente rielezione all'Eliseo o dalla presidenza di turno dell'Ue, ma anche la forza di chi - a differenza della Germania - si può muovere senza essere vittima del ricatto energetico di Mosca. E Draghi mostra di condividere in pieno l'approccio di Parigi. Lo fa con le parole, ma pure con la forza delle regole d'ingaggio della diplomazia. Perché lancia il primo segnale direttamente dallo Studio Ovale, per poi tracciare il solco il giorno dopo, in conferenza stampa a Washington. Con buona pace della linea dell'intransigenza portata avanti dagli Stati Uniti e dal Regno Unito e che in diverse occasioni Draghi è sembrato sposare senza esitazioni. Nell'intervista al Corriere della Sera, per dire, il premier non aveva fatto mistero di essere piuttosto perplesso sull'utilità di eventuali colloqui di pace con Vladimir Putin.
Da Washington, dunque, l'ex numero della Bce rilancia la necessità di «costruire un percorso negoziale». «Occorrerà la collaborazione di tutte le parti», spiega durante la conferenza stampa. E ancora: «Perché si crei questo tavolo di pace significa che i contatti devono essere riavviati a tutti i livelli, bisogna essere capaci non di dimenticare, perché ciò è impossibile, ma di guardare al futuro». E quando dice «a tutti i livelli», pur non esplicitandolo Draghi intende anche direttamente tra Putin e Biden. La priorità, dunque, è la via negoziale. Ma senza dimenticare colpe e responsabilità. Seppure evitando toni particolarmente aggressivi verso Mosca, quindi, l'ex numero uno della Bce ribadisce che c'è una netta distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato. E dunque la pace «deve essere quella che vuole l'Ucraina» e «non una pace imposta dagli alleati». È evidente, infatti, che il concetto di vittoria è labile e che ognuno lo guarda con le lenti della sua prospettiva. Ed è per questa ragione, dice Draghi, che sono «Zelensky e gli ucraini» che «devono definire qual è la vittoria». Certo, aggiunge, «non possiamo farlo noi». Forse un messaggio anche in chiave interna, al M5s e alla Lega che da settimane auspicano che si arrivi a una tregua e criticano la scelta di aiutare militarmente Kiev. Sul punto, invece, l'Italia non arretra di un passo. La decisione, dice il premier nell'incontro a Capitol Hill con la speaker del Congresso Nancy Pelosy, ha infatti «ricevuto ampio sostegno del Parlamento». Ed è anche grazie alle forniture belliche occidentali che oggi «la guerra ha cambiato fisionomia». «Prima si pensava ci fosse un Golia e un Davide, ora il panorama si è capovolto e quella che sembrava una potenza invincibile si è dimostrata non invincibile», aggiunge Draghi che a sera - la notte italiana - riceve anche il premio dell'Atlantic Council come politico dell'anno.
L'ex numero uno della Bce, insomma, si smarca decisamente dalla narrazione secondo cui si sarebbe appiattivo sulle posizioni americane anche in nome dei suoi trascorsi e della sua storia personale (che lo ha visto tanti anni negli States, fin dai tempi della specializzazione post laurea al Mit di Boston). Alla Farnesina, peraltro, qualcuno lascia intendere che alla Casa Bianca non si aspettavano una presa di distanza tanto decisa e che il tema sarebbe stato oggetto di confronto martedì nell'ora di faccia a faccia tra Draghi e Biden (negli ultimi dieci minuti i due hanno congedato anche gli sherpa e sono rimasti completamente soli).
E, in effetti, quando in conferenza stampa gli chiedono un commento sui «toni forti» usati dal presidente americano, il premier si limita a non prendere posizione. «Questi incontri non si fanno per giudicarci a vicenda, ma - spiega - per capire come si possa andare avanti».
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