Dubbi dei giudici sulla Severino: spiragli per Berlusconi riabilitato

Il legale di Palazzo Chigi incalzato dalle toghe Ue sulla decadenza del Cav al Senato: le risposte non convincono

Dubbi dei giudici sulla Severino: spiragli per Berlusconi riabilitato

«Questi le carte se le sono studiate davvero!»: c'è ammirazione nel commento del vecchio avvocato italiano, salito in Alsazia ad assistere al giudizio finale per Silvio Berlusconi. I giudici della Corte Europea dei diritti dell'Uomo hanno appena finito di fare le loro domande alle parti in causa: su un banco i legali del Cavaliere, sull'altro lo staff del governo italiano. E se qualcuno si aspettava una udienza generica e un po' rituale ha dovuto ricredersi. I giudici, anche se vengono da diciassette paesi diversi, hanno studiato bene il caso senza precedenti che ha coinvolto l'Italia, un leader estromesso dal Parlamento per via politico-giudiziaria. Le domande che piombano soprattutto sugli avvocati del governo sono ficcanti, e dimostrano che all'interno della Corte le perplessità sulla cacciata di Berlusconi sono fortemente presenti. Dall'albanese Ledi Bianku, al portoghese Paulo Pinto de Albuquerque, all'austriaca Gabriele Kucsko-Stadlmayer, i giudici sollevano una serie di interrogativi cruciali. La capofila dello staff governativo, Maria Giulia Civinini, colta quasi alla sprovvista, risponde in qualche modo, e alla fine la presidente della Corte, la tedesca Angelika Nussberger, la invita senza complimenti a tagliare corto.

La decisione arriverà chissà quando, sicuramente dopo le elezioni politiche del 2018, cui Berlusconi dunque non potrà candidarsi. Ma è chiaro che l'andamento - decisamente imprevisto - dell'udienza di ieri alimenterà la convinzione già ampiamente espressa dal Cavaliere: quella di essere stato estromesso dal Senato con un atto di forza, utilizzando a fini politici contro di lui una legge che non poteva riguardare il suo caso.

Sono questi, infatti, i temi di fondo che si intuiscono dietro le domande dei membri della Corte. La Nussberger dà loro la parola dopo gli interventi delle parti. Per prima ha parlato la Civinini. Fa la sua parte con determinazione. Spiega che la «Severino» non è una legge persecutrice o ad personam, che i diritti di Berlusconi sono stati «minuziosamente rispettati», e che la sua cacciata è la conseguenza di una condanna per frode fiscale, «un crimine contrario al buon governo e destabilizzante per il bene pubblico». Ma, dopo gli interventi dei difensori di Berlusconi, ecco che la parola passa ai giudici. E sull'avvocato di Palazzo Chigi iniziano a piovere le domande. Tra i componenti della Corte, dei tanti temi sul tappeto due hanno fatto particolarmente breccia: la natura di sanzione penale della estromissione dalle cariche pubbliche prevista dalla «Severino» (che la renderebbe inapplicabile a reati commessi prima della sua entrata in vigore) e la natura politica del voto che estromise Berlusconi. Perché la legge venne approvata di gran carriera, in tre mesi appena? Perché in Senato il relatore della giunta, che aveva dato parere negativo alla decadenza di Berlusconi, venne cambiato? Perché l'aula votò a scrutinio palese, contrariamente al regolamento? Perché gli amministratori locali possono fare ricorso per riottenere il seggio e i parlamentari nazionali no? E poi: se quella del Senato contro Berlusconi fu solo una presa d'atto, un passaggio automatico, come si spiega che invece nel marzo scorso il senatore Augusto Minzolini, anche lui condannato, sia stato lasciato al suo posto?

È su quest'ultima domanda di Pinto de Albuquerque che la risposta del legale del governo appare più fragile, e quasi controproducente. Minzolini non venne estromesso, dice la Civinini, perché il Senato ritenne che nella sua condanna fosse ravvisabile un fumus persecutionis. Ma in questo modo introduce in aula un tema, quello della «persecuzione giudiziaria», che è da vent'anni un cavallo di battaglia di Berlusconi.

Udienza chiusa, intanto, e la presidente Nussberger dà appuntamento per la sentenza a una data imprecisata: per il Guardasigilli Andrea

Orlando «non saranno tempi biblici». Nella Corte il confronto da oggi è aperto, e magari i giudici che ieri hanno taciuto si schiereranno tutti contro Berlusconi: ma quelli che ieri hanno parlato qualche dubbio ce l'hanno.

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