Da una parte una piccola repubblica autoproclamata e piratesca con la voglia di sangue e ripicca. Dall'altra la comunità internazionale gonfia di indignazione. In mezzo tre uomini che rischiano la vita per una condanna a morte di dubbia legittimità.
Ieri è stato il giorno in cui il mondo ha iniziato a muoversi per salvare i britannici Aiden Aslin (28 anni) e Shaun Pinner (48 anni) e il marocchino Saaudun Brahim (età imprecisata ma faccia sparuta da ragazzino) che il tribunale della Repubblica del Donetsk ha condannato a morte al termine di un processo farsesco fin dai suoi presupposti e in ogni caso celebrato a porte chiuse. Inutile sperare di contare sulla collaborazione di Mosca, che pilatescamente se ne lava le mani, arrivando a sostenere per bocca del ministro degli Esteri Sergej Lavrov che quella dei tre prigionieri è una questione che riguarda la presunta Repubblica Popolare del Donetsk e parlando con la portavoce del ministero Maria Zakharova, di «reazione isterica» da parte di Londra.
Naturalmente a muoversi è stato principalmente il governo britannico: ieri il ministro della Difesa Ben Wallace è volato a Kiev per incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky mentre la titolare del Foreign Office, Liz Truss, ha avuto un lungo colloquio telefonico con il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Nel corso della conversazione si è discusso di come ottenere il rilascio dei due «prigionieri di guerra» e Truss ha parlato esplicitamente di «una vergognosa violazione della Convenzione di Ginevra», ribadendo che la ridicola sentenza non inficerà l'appoggio britannico all'Ucraina «contro la barbara invasione di Putin». Sulla vicenda è intervenuto anche il premier britannico Boris Johnson, che si è detto «sconvolto» dalla condanna a morte di Aslin e Pinner (a cui, ricordiamo, la fantomatica corte di Donetsk ha dato un mese di tempo per presentare un eventuale ricorso). L'inquilino di Downing Street avrebbe ordinato ai ministri di fare «ogni cosa in loro potere» per assicurare il loro rilascio. «Condanniamo totalmente questa sentenza farsa - ha dichiarato il portavoce di Johnson, citato dal Guardian - Non c'è alcuna giustificazione per questa violazione della protezione a cui hanno diritto». Tra le ipotesi da scartare c'è però quella di un colloquio diretto con la Russia per chiedere il rilascio dei due o quanto meno una commutazione della pena, dal momento che i britannici dichiarano di «non avere interazioni regolari con i russi». Ieri, infine, il ministro della Difesa britannico Ben Wallace è volato a Kiev e ha avuto un faccia a faccia non solo con il collega Oleksii Reznikov.
Ma la Russia è isolata. L'Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani è in ansia. In una conferenza stampa tenutasi a Ginevra la portavoce Ravina Shamdasani dice che «tali processi ai prigionieri di guerra equivalgono a un crimine di guerra» e smonta ogni legittimità della corte del Donetsk: «Dal 2015 abbiamo osservato che la cosiddetta magistratura di queste sedicenti repubbliche non ha rispettato le garanzie essenziali di un giusto processo, come le udienze pubbliche, l'indipendenza, l'imparzialità dei tribunali e il diritto a non essere obbligati a testimoniare». Anche Amnesty International condanna la giustizia primordiale dei filorussi del Donbass: «Da molti punti di vista, siamo di fronte a una clamorosa violazione del diritto internazionale - dice Denis Krivosheev, vicedirettore per l'Europa orientale e l'Asia centrale dell'associazione -. I tre uomini facevano parte delle forze regolari dell'Ucraina. In quanto prigionieri di guerra, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, sono protetti da procedimenti giudiziari se hanno solo preso parte alle ostilità». Intervengono anche gli Stati Uniti.
«Siamo estremamente preoccupati - scrive su Twitter il segretario di stato Usa Antony Blinken - per il processo farsa e le sue sentenze contro legittimi combattenti che prestano servizio nelle forze armate ucraine. Chiediamo alla Russia e ai suoi delegati di rispettare il diritto umanitario internazionale, compresi i diritti e le protezioni concesse ai prigionieri di guerra». A occhio e croce, un'utopia.
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