I due archi della grande M gialla adesso assomigliano a un rimpianto. È come la vita che va via nell'inerzia di un'illusione. McDonald's lascia la Russia dopo trentadue anni e la dismissione peserà sui suoi conti per quasi un miliardo e mezzo. Non è neppure una sorpresa. La guerra in Ucraina ha cambiato tutto e ricostruito muri. A marzo la multinazionale aveva già chiuso gran parte dei suoi 847 ristornati, quelli controllati direttamente. Erano rimasti aperti solo quelli in franchising, un centinaio. Ora ritira il marchio e vende il resto, con la speranza di non lasciare a casa i suoi 62mila dipendenti. Sembra quasi un segno del destino che a subentrare sia una catena russa di fast food registrata da meno di un mese. Zio Vanja e il nome dice molto. Il personaggio di Chekhov incarna la disillusione. È la fine dei sogni e la rincorsa di una giovinezza sprecata, andata a male, con un futuro promesso che non è mai diventato realtà. Quello che ti resta è una vita che non riconosci più e fai fatica a immaginarla come tua. Quand'è che il destino è deragliato e ti sei svegliato senza più speranze? Questo passaggio di marchi racconta la deriva russa e il contro passato prossimo della globalizzazione. A guardarla da lontano assomiglia a una distopia.
L'approdo a Mosca fu una festa. Era il 31 gennaio del 1990 e a piazza Pushkin, esiliato dallo zar Alessandro per i suoi versi sulla libertà, «Malfattore autocratico! Odio te e il tuo trono», più di 30mila persone si erano messe in fila alle quattro di notte per assaggiare il loro primo Big Mac. La foto di quella processione raccontava la svolta. La guerra fredda sembrava davvero alle spalle, perché quella M appariva come qualcosa di più del cibo veloce e di un consumismo a stelle e strisce. Tre anni dopo quando aprì il secondo seduto ai tavoli c'era pure il presidente Boris Eltsin. Quella M era carica di speranze. Il mercato, si diceva, è il passaporto per la liberal-democrazia, proprio quell'idea di mondo che ora Putin considera obsoleta e soprattutto perniciosa. Era l'architrave della sociologia politica del nuovo millennio. Non è difficile non ricordare cosa scriveva Thomas Friedman nel dicembre 1996 sulle pagine del New York Times. È quell'arguzia che diventerà famosa come la «teoria degli archi d'oro». La polpetta della pace. L'assioma è questo: nazioni con classi medie che sono abbastanza prospere da consentire l'apertura di un McDonald's hanno raggiunto un livello di ricchezza e integrazione globale tale da rendere la guerra economicamente dannosa. Il popolo del fast preferisce la fila alle armi.
Non è andata cosi. I soldi non sono tutto o comunque non bastano. La Russia, e ancora di più la Cina, si sono presi il capitalismo e hanno rispedito al mittente libertà e democrazia. È che in questa voglia di stringere e far girare veloce il mondo ci siamo dimenticati dei diritti umani. La sorpresa, sconfortante, è che quei diritti non sono universali. Putin li ha rinnegati senza dolore e in fondo non li ha mai sentiti come suoi.
L'esodo dei McDonald's dalla Russia racconta proprio
questo. Restano le parole di zio Vanja: Quelli che vivranno dopo di noi, fra due o trecento anni, e ai quali stiamo preparando la strada, ci saranno grati? Si ricorderanno di noi con una buona parola?». No, non ricorderanno.
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