Alla fine, è rottura tra il premier Mario Draghi e il centrodestra. L’ex governatore della Banca Centrale Europea, chiamato a gran voce a guidare un governo di unità nazionale per salvare il Paese dopo il fallimento del Conte-bis, ha sempre avuto un occhio di riguardo soprattutto per il Pd.
Neanche dieci giorni fa, nel corso della conferenza stampa sulle nuove misure contro il caro energia, Draghi aveva chiarito: “Serve un’azione di governo che renda il populismo non necessario”, mettendo sullo stesso piano il M5S e la Lega. La giornata di ieri ha reso ancora più evidente la preferenza di Draghi per il Pd quando ha incontrato inizialmente Enrico Letta e, solo in seconda battuta, la delegazione del centrodestra di governo composta da Matteo Salvini, Antonio Tajani, Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi. Le loro richieste erano semplici e chiare, sia dal punto di vista politico sia programmatico. La crisi di governo, va ricordato, è iniziata per volontà del comportamento irresponsabile del Movimento Cinque Stelle che non ha votato la fiducia sul Dl Aiuti a causa del termovalorizzatore per Roma. Era, dunque, più che lecita la richiesta di dar vita un governo completamente nuovo che non comprenda nessun rappresentante pentastellato. Era altrettanto doveroso chiedere un rinnovamento nella compagine di governo, sostituendo i titolari dei dicasteri della Salute e degli Interni, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese. Quest’ultima, a taccuini chiusi, ha spesso ricevuto svariate critiche da parte degli esponenti del Pd, ma il premier Draghi si è reso indisponibile ad affidare gli Interni a un esponente leghista e, quindi, a modificare la sua impostazione in materia immigrazione.
Dal punto di vista programmatico, poi, da parte del premier non vi è stata alcuna apertura sui temi economici, ma anzi sono arrivate critiche molto dure verso il centrodestra si è fatto portavoce delle istanze dei balneari e dei tassisti. Ma non solo. Draghi non ha fatto evidenti aperture a favore della pace fiscale, ma anzi ha lanciato delle vere e proprie bordate contro chi ha contestato la riforma del catasto. Nel corso della sua replica, inoltre, ha spiegato che il suo governo ha deciso di non intervenire su temi come la cannabis e lo ius scholae proprio “per la sua natura di unità nazionale nei temi di origine parlamentare”. Draghi se n’è lavato le mani come un Ponzio Pilato qualsiasi quando sarebbe stato più utile per il Paese e per il suo governo dire con chiarezza a Letta e ai dem di togliere dal tavolo i temi divisivi che avrebbero creato attrito all’interno della sua maggioranza. L’ultimo sgarbo istituzionale è stata la decisione di porre il voto di fiducia solo sulla risoluzione presentata dal senatore Pierferdinando Casini e non quella presentata dal centrodestra. “Forza Italia, Lega, UDC e Noi con l’Italia hanno accolto con grande stupore la decisione del presidente del consiglio Mario Draghi di porre la questione di fiducia sulla risoluzione presentata da un senatore - Pierferdinando Casini - eletto dalla sinistra”, si legge nella nota diramata dal centrodestra di governo. Da giorni, d’altronde, il centrodestra chiedeva un nuovo governo senza i pentastellati, come viene rimarcato anche al termine del comunicato.
“Il presidente Silvio Berlusconi questa mattina aveva comunicato personalmente al Capo dello Stato Sergio Mattarella e al presidente del consiglio Mario Draghi la disponibilità del centrodestra di governo a sostenere la nascita di un esecutivo da lui guidato e fondato sul ‘nuovo patto’ che proprio Mario Draghi ha proposto in Parlamento. La nostra disponibilità – conclude la nota - è stata confermata e ufficializzata nella proposta di risoluzione presentata dal centrodestra di governo in Senato”.
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