Ecco perché "antifascismo" non compare nella Carta

La parola antifascismo non compare in nessuno degli articoli della nostra Costituzione repubblicana.

Ecco perché "antifascismo" non compare nella Carta

La parola antifascismo non compare in nessuno degli articoli della nostra Costituzione repubblicana. È ben vero la XII delle disposizioni transitorie e finali vieta sotto qualsiasi forma la ricostituzione del disciolto partito fascista. Una norma valida in saecula saeculorum. Peraltro storicamente tutt'altro che ineccepibile. Difatti due sono stati i partiti fascisti disciolti: uno per decreto, il partito nazionale fascista, e l'altro in via di fatto, il partito fascista repubblicano. Questo è il solo codicillo che unisce tutti i partiti presenti all'Assemblea costituente. Per tutto il resto non c'è mai stata concordia di opinioni. L'antifascismo non è mai stato un monolite. Ce ne sono stati ben due in irriducibile contrasto tra loro. Da una parte l'antifascismo che ha combattuto il fascismo allo scopo di propiziare un ordinamento costituzionale autenticamente liberaldemocratico. Dall'altra un antifascismo che combatteva il fascismo per dare agli italiani un facsimile del paradiso sovietico. Se così non fosse, non si spiegherebbe la scissione di Palazzo Barberini del gennaio 1947 con la quale Giuseppe Saragat abbandonò il fronte socialcomunista nella convinzione che il socialismo o è riformista o non è. Se così non fosse, non si spiegherebbe perché Alcide De Gasperi nel maggio del 1947 sbarcò i socialcomunisti dal governo. Se così non fosse, non si capirebbe perché nelle elezioni del 18 aprile 1948 lo statista trentino e i suoi alleati si presentarono in contrapposizione ai socialcomunisti. In uno storico comizio nella romana Piazza San Giovanni Palmiro Togliatti disse che si era fatto risuolare le scarpe per dare un calcio nel fondoschiena al «cancelliere» De Gasperi. Il Migliore andò per suonarle e, per nostra fortuna, fu bellamente suonato. Da allora si affermò la cosiddetta conventio ad excludendum in forza della quale i comunisti non potevano entrare nel governo perché avevano sì senso dello Stato. Non del nostro, ma di quello sovietico.

Non dimentichiamoci che il Pci nel 1939 espulse Umberto Terracini e Camilla Ravera perché critici del patto nazi-comunista Ribbentrop-Molotov e furono riammessi nel 1944 quando nazisti e comunisti non erano più pappa e ciccia. Il Pci, quando nel 1956 Leo Valiani abbandonò i compagni per l'invasione dell'Ungheria, pretendeva che la moglie, allora fervente comunista, abbandonasse il reprobo. Cosa che si guardò bene dal fare.

Se così stanno le cose, perché mai i comunisti approvarono quei principi fondamentali della Costituzione che rappresentano una condanna di tutti i totalitarismi? Perché, diremmo con La Rochefoucauld, l'ipocrisia è l'omaggio che il

vizio rende alla virtù. Se poi avessero vinto le elezioni del 18 aprile, avrebbero gettato la Costituzione nel cestino della carta straccia e ci avrebbero regalato la Costituzione stalinista del 1936. Evviva la differenza.

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