Da un lato il tavolo negoziale che si allunga e si accorcia come una molla. Dall'altro il banco degli (ipotetici) imputati di crimini di guerra; su cui però difficilmente la comunità internazionale riuscirà a portare Vladimir Putin. Le modalità con cui il suo esercito agisce lo tengono al riparo da accuse dirette, e al massimo la procura di Kiev ha i volti di una novantina di militari dell'Armata rossa sospettati di atrocità contro villaggi inermi. Eppure, dice da Kiev la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard, «i crimini commessi dalle forze russe documentati in Ucraina includono sia attacchi illegali che uccisioni volontarie di civili».
Con sé, Callamard ha il plico con l'esito delle ultime ricerche sul campo. Indaga già da due mesi la Corte dell'Aja su richiesta delle autorità ucraine: che citano almeno 7.280 crimini di guerra riconducibili ai russi, mentre altri inquirenti in Svizzera, Polonia, Germania, Lituania, Lettonia, Estonia, Francia, Slovacchia, Svezia e Norvegia hanno aperto fascicoli basati sulle testimonianze dei rifugiati. Amnesty esprime però un giudizio terzo rispetto agli Stati coinvolti di riffa o di raffa nel conflitto; per esempio, l'ambasciatrice Usa all'Onu Linda Thomas-Greenfield vanta il possesso di «immagini che confermano fosse comuni a Bucha»; e visti i precedenti statunitensi, la cautela è d'obbligo. «Fatti orribili con cui il mondo deve fare i conti», insiste la diplomatica al Consiglio di Sicurezza.
L'Ong parla più nel dettaglio, e per la prima volta, di uno «schema», di «esecuzioni extragiudiziarie» da parte dei soldati di Mosca, «bombe a grappolo» e «bombardamenti sui civili». Nel mosaico dell'orrore realizzato in 12 giorni di analisi di centinaia di indizi, guidati da interviste, per Amnesty, il 1° e il 2 marzo «attacchi aerei russi» centrano 8 palazzi a Borodyanka in cui c'erano oltre 600 persone. Assalti «illegali» documentati anche in altre città e villaggi «a nord-ovest di Kiev»: Andriivka, Zdvyzhivka, Vorzel e soprattutto Bucha. Qui trovati due proiettili 9×39 millimetri perforanti a punta nera, che possono essere stati esplosi solo da armi particolari in dotazione a unità speciali delle forze russe, comprese quelle che operavano a Bucha tra il 4 e il 19 marzo.
«I responsabili, compresa la catena di comando, siano assicurati alla giustizia», insiste Callamard, che ammette però di non aver sufficienti elementi per sostenere che certi ordini siano partiti direttamente dallo Zar; il quale, dietro lo schermo dell'operazione speciale, si tiene al riparo anche dai «cavilli» che una guerra dichiarata comporta.
Stanare gli artefici dei massacri è un'impresa che richiede tempo e precisione, oltreché prudenza. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dice che i russi pensano di restare impuniti perché hanno il potere di uno stato nucleare. Il primo passo è individuare le forze militari presenti quando le atrocità si sono verificate e sotto quale comando, e in parte questo lavoro è stato fatto dalla Reuters a Bucha: documenti, immagini, nomi. Ma salire fino agli apparati del Cremlino, e a Putin, è ancora quasi impossibile. Amnesty invita intanto il Tribunale penale internazionale a conservare le prove per future indagini.
Mosca è anche nel visore dell'Osce, che il 5 aprile ha licenziato un report che non sottovaluta neppure le accuse di abusi rivolte a Kiev. La pressione degli ispettori di ogni Paese (anche italiani) si intensifica. L'impresa è collegare le scene dei crimini con gli alti dirigenti del Cremlino: a chi ha impartito gli ordini, se qualcuno lo ha fatto. «Oltre ai corpi massacrati, c'è il dramma degli stupri», denuncia il capo della Chiesa greco-cattolica Ucraina, l'arcivescovo di Kiev Sviatoslav Shevchuk; le istruzioni date su cosa fare nei villaggi possono essere paragonate a «un manuale del genocidio», «l'intero popolo doveva essere eliminato», sostiene.
La pagina dei massacri è affrontata anche dall'Onu. L'ufficio dell'Alta commissaria per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha documentato «detenzioni arbitrarie» e «sparizioni forzate» di funzionari locali, giornalisti, attivisti, forze armate in pensione; a opera delle truppe russe e dei gruppi affiliati. «Al 4 maggio, 180 casi di sparizione», ha detto Bachelet. Il suo staff ha raccolto informazioni anche su donne violentate dalle forze russe. E a Mariupol civili ancora «intrappolati, in condizioni orribili», racconta il portavoce del segretario del Palazzo di Vetro Stephane Dujarric.
Allarme condiviso dalla commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino, Lyudmila Denisova, che parla di «diritto alla vita minacciato a Popasna, Berezhna e nelle regioni di Donetsk e Lugansk, dove non ci sono più scorte di cibo e medicine, distrutte o sequestrate dai russi; 1,6 milioni di cittadini non hanno acqua potabile; 4,7 milioni quasi nella stessa situazione».
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