Ci vorranno giorni, qualche settimana. Poi l'Italia saprà se la doppia richiesta di revisione del processo per la strage di Erba verrà accolta dalla Procura di Brescia, competente sulla corte d'Appello di Milano, o se invece Olindo Romano e Rosa Bazzi resteranno per sempre in galera a scontare l'ergastolo. Per un delitto del quale si professano innocenti dopo essersi autoaccusati e dopo tre gradi di giudizio che - secondo il sostituto Pg di Milano Cuno Tarfusser che a Brescia chiede la revisione, rivelata in esclusiva dall'Adnkronos - hanno tralasciato di analizzare compiutamente tutte le prove. Alcuni elementi che saranno sottoposti come «nuove prove» avrebbero potuto dimostrare l'estraneità dei due coniugi a quella mattanza già in primo grado. Tanto che il Pg si azzarda a sottoscrivere che Olindo Romano e Rosa Bazzi siano in carcere ingiustamente e sarebbero vittime di un clamoroso errore giudiziario «nato in un contesto che definire malato è un eufemismo», come si documenta nella richiesta di revisione di una sessantina di pagine. «Noi da qui a breve presenteremo la nostra richiesta, al di là di quella della magistratura. Faremo la nostra istanza, e se la Procura generale ne presenterà un'altra, ben venga», fanno sapere i legali della coppia Fabio Schembri, Luisa Bordeaux, Nico D'Ascola e Patrizia Morello.
Non è la prima volta che difesa e sostituto procuratore - che di norma sono agli antipodi in aula - sono concordi nel chiedere alla corte d'Appello competente di riaprire un processo. «È successo con la strage di Via D'Amelio», ricorda al Giornale un pm siciliano che ha lavorato al caso. Ma in quel caso ci fu il clamoroso depistaggio orchestrato attorno al sedicente colpevole Vincenzo Scarantino. «Raramente è accaduto per un processo così mediatico e a quasi 17 anni di distanza, con sentenze unanimi di condanna, in tutti i tre gradi di giudizio, con il massimo della pena, soprattutto se la revocazione è fondata sulla rivalutazione dell'attendibilità di un testimone e sulla base di consulenze tecniche relative alla sua personalità».
Sarà. Ma prima che la patata bollente firmata Tarfusser venga recapitata a Brescia, appare chiaro che i vertici della Procura generale di Milano debbano decidere se «vistare e condividere» o meno la richiesta di revisione indirizzata a Brescia. «In realtà, dipende dalle regole che scrive il capoufficio. Se davvero prevede il visto del Procuratore generale, senza questo la richiesta non parte», spiega al Giornale una fonte giudiziaria esperta in dinamiche procedurali. Ovviamente il diniego andrebbe motivato con grande attenzione, nel merito e nel metodo, per evitare frizioni che sembrano inevitabili. Qualcuno sostiene anche che la richiesta di revisione vada depositata comunque, anche senza l'ok dell'ufficio, ma a questo punto dentro la Procura generale si aprirebbe uno scontro senza precedenti. «Visto il clamore suscitato dal provvedimento, la dovizia di critiche apparentemente ben motivate e il coinvolgimento degli inquirenti in reati come la presunta frode processuale, sarebbe difficile difendere un veto alla richiesta», spiega un altra fonte vicina alla Procura. Anche perché si intreccia a doppio filo con quello dei legali della coppia di coniugi di Erba, visto che ne condivide perizie e contenuti: tra le nuove prove c'è anche un'intervista del Giornale a Manuel Gabrielli, l'ex legale del supertestimone Mario Frigerio morto qualche mese fa, nel quale lo stesso Gabrielli ammise di nutrire più di un dubbio sulla bontà del riconoscimento di Olindo, come peraltro sostiene anche il Pg Tarfusser carte alla mano.
E in caso di diatriba, cosa succederebbe? Non è chiaro a chi Tarfusser dovrebbe eventualmente ricorrere per sciogliere il conflitto.
«Non alla procura della Cassazione, perché non è un ufficio di merito - spiega un giudice che preferisce rimanere anonimo - chi dice che si potrebbe andare al Csm sbaglia, perché anche a Palazzo de' Marescialli la soluzione del conflitto presupporrebbe la conoscenza di indagini coperte da segreto istruttorio, come avvenne per il caso Storari-Davigo», è il ragionamento del magistrato. Peggio: «In teoria dopo le riforme Mastella e Castelli di fatto negli uffici di Pg non ci sono strumenti di riesame, se il capo dice no è no. Ma sarebbe un brutto precedente».
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