È il solito Erdogan. Quello che confonde le grandi occasioni per superare i problemi con opportunità per fare il gradasso e atteggiarsi a gran sultano protettore dei perseguitati. Quello che l'altro giorno ha trasformato la prima visita di Stato di un leader turco in Grecia dal 1952 in una concione antiellenica che ha lasciato esterrefatti il presidente Pavlopoulos e il premier Tsipras che gli avevano steso i tappeti rossi in nome della pacificazione.
E quello che ieri, ritenendo che la mossa di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele gli offrisse un'altra di quelle famose opportunità, si è scagliato verbalmente contro Israele (con il quale ha recentemente ricucito dopo la rottura di sette anni fa), definendolo «Stato terrorista e oppressore» e «uccisore di bambini». Il tutto mentre il presidente francese Macron - certamente annoverabile tra gli amici della causa palestinese - gli chiedeva di «dare il suo contributo alla pacificazione».
«Guardate come i soldati israeliani portano via un giovane di 14 anni con gli occhi bendati: non lasceremo Gerusalemme nelle mani di un Paese che uccide i bambini», ha gridato durante un comizio del suo partito islamista Akp nella città di Sivas il presidente turco. E via con toni drammatici il cui livello è all'altezza delle sue recenti minacce di interrompere le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico.
Inevitabile che il premier israeliano Netanyahu reagisse. «Non sono abituato a prendere lezioni di moralità da un leader che bombarda villaggi curdi nella sua Turchia, che incarcera giornalisti, aiuta l'Iran ad aggirare le sanzioni internazionali e che aiuta terroristi, anche a Gaza, a uccidere persone», ha scandito Netanyahu in conferenza stampa congiunta con Macron dopo l'incontro all'Eliseo con l'attivissimo presidente francese. Netanyahu non ha mancato di condannare «il doppiopesismo e l'ipocrisia degli europei (e quindi anche dello stesso Macron, n.d.a.) che condannano Trump ma non il lancio di razzi contro Israele e il terribile incitamento all'odio contro lo Stato ebraico».
Nei Paesi musulmani continuano le manifestazioni di protesta (ieri 50mila persone in strada nella capitale marocchina Rabat e gran folla anche a Istanbul in Turchia) e le iniziative politiche contro Trump e Israele. Ieri il Parlamento giordano ha votato all'unanimità una mozione in cui si chiede al governo (che risponde a sua volta al re Abdallah) di rivedere tutti gli accordi che Amman ha firmato con Israele a partire dagli accordi di pace del 1994.
Si attiva anche il presidente egiziano al-Sisi, che ha invitato per oggi al Cairo il leader palestinese Mahmud Abbas, meglio noto come Abu Mazen.
L'Egitto, che con la Giordania è l'unico Paese arabo a mantenere relazioni diplomatiche con Israele, «continuerà a proteggere a proteggere i diritti del popolo palestinese, i suoi luoghi sacri e il »diritto legittimo di stabilire uno Stato indipendente con capitale Gerusalemme est». Il che, a ben vedere, significa che al-Sisi intende mantenere ben distinta la questione di Gerusalemme da quella dei diritti dei palestinesi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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