Due grandi gironi in pieno countdown. E poi il limbo degli invisibili che annaspano nella sabbia dell'attesa. Il ritorno al lavoro si snoda come un serpentone e passa per due date cerchiate sul calendario, il 18 maggio e il 1 giugno, e sul paradosso di un terzo insieme, gli stagionali, precari già dal nome, che rischiano di andare fuori stagione. E di saltare un giro.
Lunedì sino tornati ai posti di combattimento 3,4 milioni di italiani, ma molti altri aspettano ai blocchi di partenza il momento per uscire dall'incertezza. Un primo plotone dovrebbe rientrare in prima linea il 18 maggio ed è quello dei negozi cosiddetti al dettaglio, abbigliamento in primis, e poi oggettistica, arredamento, articoli da regalo, cosmetici, gioiellerie. A questi dovrebbe unirsi uno spicchio di cultura: musei e biblioteche. Attenzione, il rodaggio di due settimane, dal 4 appunto al 18, servirà, si spera, per benedire il loro reingresso nel circuito produttivo, ma non è detto che vada in questo modo. Potrebbero riaprire gli uni e rimanere sprangati gli altri: il governo ha studiato un meccanismo automatico che tiene d'occhio i numeri del contagio e su quelli tara i flussi. I;somma, è probabile ma non scontato che i gioiellieri si schierino dietro i banconi. Potrebbero esserci, se la curva non dovesse scendere ma artigliare di nuovo, lockdown mirati su base locale. Col risultato di congelare di nuovo in quell'area sfortunata del Paese anche gli appartenenti al primo grande scaglione, ricomparsi dal letargo il 4 maggio.
Insomma, la mappa della produttività seguirà quella del virus. In un tortuoso gioco dell'oca. Il 1 giugno tocca a quelli degli incontri ravvicinati: ristoranti, oggi confinati nell'asporto, bar, parrucchieri, barbieri, estetisti. La Calabria ha anticipato la fine del blocco per chef e camerieri, in polemica con Roma, ma quel che é sfuggito un pò a tutti è che mancano in questa scivolosissima fase di transizione le coperture dell'Inail. In caso di malaugurata infezione potrebbe innescarsi il solito scaricabarile. In totale riprenderanno circa 4 milioni. Più di quelli che hanno ricominciato lunedì. Resta in sospeso, invece, il destino degli stagionali. Appesi più di tutti gli altri alle giravolte del coronavirus. Il comparto più in sofferenza, naturalmente, è quello del turismo. Basta pensare agli stabilimenti balneari, con relativo indotto di locali per il cibo e il divertimento. Le stime sono di circa 400 mila persone che nei mesi estivi costituivano la provvista per l'inverno e ora si trovano a danzare sull'orlo del precipizio. A questi si sommano gli stagionali dell'agricoltura dove però la situazione è perfettamente capovolta: c'è il lavoro, manca la manodopera. All'appello mancano fra 270 e 350 mila uomini, quasi tutti stranieri, scappati, espulsi, messi in crisi dalla paura del virus.
In totale - sommando anche la logistica, le fiere e altri settori - si sfiora il milione. Un milione di persone che stanno finendo in una terra di nessuno, come capitato a suo tempo agli esodati. Se rientreranno, fra riduzione degli spazi, distanziamento, frontiere chiuse, le possibilità di impiego si assottiglieranno pericolosamente. C'è poi la scuola: 10-11 milioni in stand by, fra ragazzi e docenti.
Una pagina nera per il Paese. Ma peggio di tutti, ultimi fra gli ultimi, stanno quelli del cinema, dei teatri, del mondo dello spettacolo. Qui nessuno azzarda date e i titoli di coda dell'emergenza sembrano non finire mai.
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