Tremila abitanti e un esercito di pecore su due isole e qualche scoglio battuti dal vento freddo dell'Atlantico del Sud. Le isole Falkland, vaste in tutto metà della Sardegna, sono questo, ma anche molto di più: sono uno degli ultimi, remoti avamposti di ciò che fu l'impero britannico. E gli inglesi, si sa, sono un popolo orgoglioso ai quali le prepotenze non garbano: lo si vide chiaramente nell'aprile del 1982, quando l'allora premier Margaret Thatcher non esitò a inviare a undicimila chilometri di distanza una piccola flotta da guerra, con tanto di aerei da combattimento e paracadutisti, per riconquistare le Falkland che erano cadute in mano dell'Argentina, il Paese sudamericano che ne rivendica la sovranità e le chiama Islas Malvinas. Un conflitto breve e feroce, costato centinaia di morti a entrambe le parti e conclusosi con la cacciata degli invasori già due mesi dopo.
Quella sconfitta umiliante, agli argentini, non è mai andata giù. Il generale Leopoldo Galtieri, capo del governo militare di Buenos Aires, aveva annesso le Falkland per far dimenticare al popolino miseria e mancanza di libertà in casa propria. Oggi l'Argentina è finalmente un Paese migliore, ma il tarlo del nazionalismo continua a rodere. E a Port Stanley, la minuscola capitale delle Falkland dove evidentemente da 37 anni non succede mai niente di interessante, non si parla d'altro che di quei provocatori argentini in giacche militari venuti a creare fastidi. Gente che va in visita ai cimiteri di guerra e srotola striscioni con su scritto «territorio argentino», che entra urlando nei pub e punta torce in faccia a tranquilli bevitori di birra e chiede «perché avete invaso le nostre isole», che si porta via cimeli di guerra dalle colline spazzate dal vento gelido dove nel 1982 si combattè e si morì.
I giornali inglesi raccontano di piccoli gruppi organizzati di nazionalisti argentini che sbarcano a Port Stanley dall'unico aereo di linea che una volta al mese arriva alle Falkland dopo aver fatto tappa in Argentina. Si trattengono una settimana, danno vita alle loro imprese che naturalmente diffondono sui social e ripartono col volo successivo. Indisturbati, a quanto pare, e la cosa comincia a dar fastidio sia ai residenti (che hanno votato al 99% per rimanere colonia di Sua Maestà britannica) sia ai parenti dei caduti inglesi che vengono in visita ai cimiteri di guerra. I politici del posto stanno considerando di introdurre liste di indesiderati da bloccare all'arrivo. Ma le reazioni più pittoresche sono sui giornali: sul compassato Times un signore suggerisce di spedire i provocatori su un'isola deserta con una bandiera britannica da sventolare nel caso che desiderino acqua e cibo.
Un altro suggerisce di fare come Londra fece con Hong Kong: cederla all'Argentina dopo 99 anni di contratto d'affitto. E un terzo conclude sarcastico che non ci sarà bisogno di attendere tanto: se il leader laburista Corbyn diventerà premier, calerà le braghe molto prima.
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