E ogni volta ci chiediamo se quel posto dove andiamo non ci inghiotte, e non torniamo più». La strofa di Paolo Conte, 43 anni dopo, suona come un tetro presagio. Genova stavolta ne ha inghiottiti a decine. Trentotto su trentanove hanno un nome, sono stati identificati nella camera mortuaria dell'ospedale San Martino da parenti e amici che domani mattina alle daranno loro l'ultimo addio: saranno funerali di Stato, nel padiglione Jean Nouvel della Fiera, ci sarà anche il presidente Mattarella. Ma il numero delle vittime purtroppo è superiore, secondo il procuratore capo Francesco Cozzi sotto le macerie potrebbero esserci ancora da 10 a 20 persone e la speranza di trovarne qualcuna viva diminuisce col passare delle ore. Dei 15 feriti 5 sono ancora in codice rosso, uno è stato dimesso.
Simbolo della tragedia sono Roberto Robbiano, la moglie Ersilia Piccinino e il loro figlioletto Samuele di 8 sono il simbolo della tragedia. Genovesi di Campomorone, stavano andando a pranzo dal nonno a Voltri: li ha riconosciuti un amico di famiglia che si è fatto largo tra i soccorritori e si è trovato di fronte l'auto, ha visto il pallone di Spiderman con cui giocava sempre Samuele e in un attimo il mondo gli è crollato addosso come il viadotto. Sono undici, i morti liguri. Bruno Casagrande e Mirko Vicini erano proprio di Genova, sono loro i due lavoratori della municipalizzata dei rifiuti che si trovavano nel deposito sotto al ponte. Accanto a loro Alessandro Campora di Livellato.
Lavorava anche Luigi Matti Altadonna, camionista originario di Borghetto Santo Spirito, e stava andando a lavorare al porto Andrea Cerulli: era un «camallo» e un grande tifoso rossoblù, socio del Genoa Club Portuali Voltri. Giorgio Donaggio invece andava verso Santa Margherita Ligure: savonese di Andora, lì aveva un cantiere nautico ma oggi tutti lo ricordano come ex campione italiano di moto trial. E poi ci sono quelli che stavano andando in vacanza, come Francesco Bello di Serra Riccò ed Elisa Bozzo, che su Facebook aveva appena finito di scrivere «Come posso non celebrarti, vita?».
Altri italiani da lì dovevano solo passarci. Molti venivano dal Piemonte, tra cui due famiglie completamente distrutte: arrivavano da Pinerolo Andrea Vittone e la compagna Claudia Possetti, in viaggio coi loro figli Manuele e Camilla di 16 e 12 anni; da Arquata Scrivio Alessandro Robotti e Giovanna Bottaro, marito e moglie. Una terza - padre, madre e figlioletta di Oleggio - risulta dispersa. Da Torre del Greco quattro ragazzi diretti a Barcellona (Matteo Bertonati, Giovanni Battiloro, Gerrardo Esposito, e Antonio Stanzione), da Vicenza il camionista Vincenzo Licata, dal milanese Angela Zerilli, da Pisa Alberto Fanfani e la compagna Marta Danisi dalla provincia di Arezzo Stella Boccia e il fidanzato Carlos Jesus Trujillo.
E poi gli stranieri. Quelli che a Genova e dintorni ci vivevano da anni come lo chef cileno Juan Carlos Pastenes che è precipitato insieme alla moglie Leyla Nora Rivera Castillo e all'amico Juan Ruben Figueroa Carasco, come gli albanesi Marjus Djerri e Edy Bokrina che lavoravano come addetti alle pulizie o come Henry Diaz Hernao, studente di origine colombiana la cui salma è stata riconosciuta dalla mamma. C'era il camionista rumeno Anatoli Malai e c'erano cinque ragazzi francesi di Montpellier che da Genova dovevano imbarcarsi verso la Sardegna. Si chiamavano Axelle Plaze, Melissa Artus-Bastit, Nathan Gusman, e William Pouzadoux.
C'era un pezzo di mondo sul ponte Morandi. Venivano dalla città o dalla provincia, dal nord e dal sud dell'Italia, dall'estero.
Decine di percorsi e un unico punto d'arrivo, alle 11.36 sotto l'acquazzone di un martedì d'estate. Genova per loro è stata come Samarcanda nella canzone di Roberto Vecchioni: il luogo in cui la morte gli aveva fissato l'ultimo appuntamento.
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