Farsa Rousseau: 59% di sì a Draghi. Ma nel Movimento è guerra civile

La consultazione web obbedisce a Grillo: via libera all'entrata al governo. I vertici esultano, ma tra quesiti furbetti e iscritti in calo, il rito del voto on line non copre più fratture insanabili

Farsa Rousseau:  59% di sì a Draghi. Ma nel Movimento è guerra civile

Puntuale come sempre dal debutto nel 2016, la democrazia diretta di Rousseau risponde «obbedisco» ai leader del M5s. Su poco più di 74mila votanti, il 59,3% ha votato per il sì al governo Draghi e il 40,7% per il no.

La spaccatura sulla scelta critica è confermata, il Movimento va avanti per mancanza di alternative e nemmeno il feticcio della democrazia diretta riesce più a coprire la semplice verità che nel M5s si fa quello che dice Grillo e la sua ristretta cerchia. Anche ieri, come dopo le scelte più controverse avallate via Rousseau, in tanti hanno subito esaltato «il grande esempio di democrazia, mentre gli altri decidono in 4-5», come ha detto Davide Casaleggio, mentre Luigi Di Maio si abbandonava a toni epici: «La responsabilità è il prezzo della grandezza». Ma pure il coro entusiasta azionato a comando è ormai uno stanco rito.

La funzione oracolare di Rousseau è esaurita. A urne virtuali già aperte, diversi parlamentari hanno reso chiaro che non avrebbero rispettato il responso. C'è chi nell'ala governista, come il deputato contiano Giorgio Trizzino, diceva: «Voterò sì per il governo Draghi anche se da Rousseau venisse un voto per il no». All'opposto, nel drappello di ribelli anti Draghi che ruota intorno ad Alessandro Di Battista, il senatore Mattia Crucioli ha annunciato che voterà comunque no alla fiducia.

Ieri del resto perfino Davide Casaleggio, padrone della piattaforma di voto on line su cui ha un controllo totale per statuto attraverso l'associazione Rousseau, aveva aperto a soluzioni «creative» rispetto all'esito parlando da un tavolino in strada in stile Conte: «In caso di voto negativo sulla piattaforma -aveva spiegato- è da definire se la posizione del Movimento sarà un voto negativo alla fiducia al Governo o di astensione in Parlamento». Dichiarazione che ha spiazzato Vito Crimi, costretto a precisare quello che parrebbe ovvio: «Se prevarrà il Sì sosterremo questo governo, se prevarrà il No non lo sosterremo».

Frecciate che mostrano una catena di comando il cui unico punto fermo ormai è Beppe Grillo. Al di sotto è un vietnam di contraddizioni e rancori. Alla fine nell'immediato non c'è aria di vere scissioni e il M5s si limiterà a perdere altri pezzi (nell'ultimo anno 34 suoi parlamentari hanno cambiato casacca). Molti contestano proprio Rousseau e sono restii a pagare la «retta» mensile imposta a tutti gli eletti.

Il declino vero è iniziato dopo la multa da 50mila euro alla piattaforma quando gli ispettori del Garante per la privacy scoprirono che i dati dei votanti non erano tutelati e che era possibile alterare l'esito dei voti senza lasciare traccia. Ma la piattaforma è sempre stata gestita in modo strumentale. La formulazione ambigua del quesito, contestata anche ieri, non è certo una novità. Nel febbraio 2019, quando i leader volevano salvare il governo gialloverde, il quesito sull'autorizzazione a procedere contro Salvini era costruito in modo che votando «sì» ci si sarebbe espressi contro il processo al leader della Lega e viceversa.

Ecco perché gli aventi diritto al voto a novembre erano 125mila, oggi 119mila. E calano pure gli iscritti: il sito ne dichiara 188.000. Vuol dire che quasi 70mila non partecipano più alle attività e hanno perso il diritto al voto. Due giorni fa, solo in 30mila o poco più hanno votato sullo Statuto.

La comunicazione grillina per fare numero ha parlato di «168mila preferenze espresse», moltiplicando i votanti per il numero di quesiti cui erano chiamati a esprimersi per fare numero. Stratagemmi spiccioli ormai trasparenti che non serviranno a riempire le urne vere. Grillo lo sa bene. Ed ecco perché morto un Conte si fa un Draghi.

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