Il Fatto paragona Salvini a una scimmia. Lui cita Sciascia: "Ominicchi"

Ennesima vignetta choc apparsa sul Fatto Quotidiano. Questa volta, il giornale di Marco Travaglio attacca Matteo Salvini, rappresentandolo come uno scimmione. Il leghista risponde citando Sciascia: "È più intelligente di tanti ominicchi"

Il Fatto paragona Salvini a una scimmia. Lui cita Sciascia: "Ominicchi"

"Se pensano di offendermi disegnandomi come uno scimmiotto, hanno sbagliato: è un essere più intelligente di tanti ominicchi". Lo scrive su Twitter il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, in risposta all'ultima vignetta del Fatto Quotidiano che lo rappresenta come uno scimmione. Anzi, "scimmiotto", riprendendo il termine usato dal vicepremier leghista. Che, a sua volta, cita il grande scrittore Leonardo Sciascia e il suo capolavoro "Il giorno della civetta" (1961), in cui alla fine della vicenda il boss don Mariano, parlando con il capitano dei carabinieri Bellodi, divide l'umanità in 5 sottogruppi: "Uomini, mezzi uomini, ominicchi, pigliainc... e quaquaraquà".

Peggio ancora della rappresentazione zoomorfica del segretario della Lega, è il titolo della vignetta: "Il primate della politica".

Non è la prima volta che il giornale di Travaglio attacca Salvini con una vignetta dai contenuti e dai toni pesanti e al limite della diffamazione. Limitandoci solo al 2019, era già successo a gennaio con Vauro ("Non vuoi la divisa da carcerato? Intanto provala") e a febbraio con Mannelli ("Scherzi della storia: quando si unisce l'inutile al vomitevole"). Ma a finire vittime della "satira" del Fatto sono stati anche Giuliano Ferrara ("Un gruppo di nigeriani massacrano Ferrara: purtroppo non Giuliano") e persino Umberto Bossi.

Proprio la vignetta sul Senatùr, messo a colloquio con la Morte nelle stesse ore in cui stava lottando per la vita dopo il malore improvviso che lo aveva colpito nella sua casa di Gemonio, aveva suscitato aspre critiche. Anche in quel caso, però, il quotidiano diretto da Travaglio si era difeso dietro il diritto di satira. Un diritto inteso sempre di più come dovere di infamare.

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