Se lo cerchi sui social, è difficile scovarne tracce. Il sindaco di Genova Marco Bucci non ama presenziare, intervenire, apparire. Molti lo ricorderanno per l'involontario video virale in cui dialoga con una malcapitata giornalista dopo il crollo del ponte. «Proviamo ad avvicinare un genovese. Lei è genovese?». E lui: «Sono il sindaco, veda un po' lei». Senza spocchia, con l'aria afflitta ma ironica, una delle forme che assume la speranza in terra ligure. In questi anni ha dato il suo contributo a un'impresa quasi impossibile: portare i 5S al 4,4% nella città di Beppe Grillo. Per intendersi, significa un solo seggio in Consiglio comunale. Nel 2017 erano al 18,4.
Osserva il politologo Luca Ricolfi: «Un non politico che riesce a ricostruire il ponte Morandi. Che vuoi di più? Aver avuto il sostegno di esponenti del centrosinistra come Renzi e Calenda dimostra che è stimato anche dagli avversari». Quando si è trattato di candidarlo nel 2017, Bucci non era la prima scelta di nessuno dei politici che oggi si sperticano in lodi. Ora che Bucci con il suo 55,49 per cento è stato riconfermato sindaco di una città che ha sempre eletto (direttamente) sindaci di sinistra, ora che si parla di modello Genova, laboratorio Lanterna, formule a cui ricorre la politica quando si ritrova davanti un candidato vincente fuori dagli schemi con un'alleanza fuori dagli schemi, c'è voglia di studiarlo.
Obiettivo clonare il soggetto o lanciarlo a livello nazionale. Caratteri distintivi: cattolico, liberale, manager nel privato e nel pubblico, esperienza internazionale, gran lavoratore e amante del bel vivere, pragmatico nel gestire da commissario la ricostruzione del ponte e i rimborsi per la catastrofica alluvione del 2011 come i rapporti con i partiti. A sostenerlo nove liste: il centrodestra di Fdi, Lega e Fi, le due civiche Bucci con esponenti di Italia viva e Azione, la civica Toti, Udc, Npsi. Un centrodestra allargato a trazione moderata.
L'analisi di Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, si concentra sulla capacità di allargare il campo: «Piace perché si occupa della città. Appare come un uomo del fare. Non fa politica, fa il sindaco. Con le sue due liste civiche, aperte a Iv e Azione, ha raggiunto quasi il 24 per cento, cioè uno su quattro tra gli elettori che hanno votato. Ha effettivamente allargato il campo. Ha fatto capire che c'è la possibilità di accettare altri punti di vista che non collimano necessariamente con determinate parti politiche. È stato scelto lui al di là dei partiti, e si vede anche perché l'affluenza al voto per il sindaco è 17 punti più alta di quella per il referendum».
Genovese, dopo la laurea in Chimica e Farmacia, ha vissuto tra Europa e Stati Uniti ricoprendo importanti ruoli manageriali in grandi aziende (3M, Kodak e Carestream Health, la partecipata Liguria digitale). Sposato, padre di Matteo e Francesca, bisogna addentrarsi nei meandri del suo curriculum vitae per scoprire il servizio militare in Marina, l'amore per la vela e per la sua Dufour 44 Performance, non proprio una barchetta, arrampicate e sciate in montagna. Quando aveva vent'anni è stato educatore nei boy scout per un quinquennio, ciò che dice della formazione cattolica sua e della sua famiglia. Un uomo pieno di interessi, non solo un politico: non ha neanche escluso di arruolare in giunta lo sfidante Ariel Dello Strologo. Gianfranco Pasquino, ex parlamentare della sinistra indipendente e professore di Scienza politica all'Università di Bologna, sintetizza: «È un insieme di condizioni che si verificano raramente. Essere sindaco in carica e aver governato bene. Alla coalizione si è aggiunto anche Matteo Renzi: è determinante conquistare quel pur piccolo spazio di centro.
Poi c'è l'appoggio di Toti che ha fatto bene come governatore. Credo poco a modelli e laboratori, ma chi sa costruire una coalizione più larga del suo perimetro e porta con sé la dote del buongoverno vince. Per fortuna».
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