La festa (canora) della liberazione

Domenica 9 febbraio 2020 il Covid non era ancora Covid: si chiamava Coronavirus ed era una sindrome cinese

La festa (canora) della liberazione

Domenica 9 febbraio 2020 il Covid non era ancora Covid: si chiamava Coronavirus ed era una sindrome cinese. Noi ci preoccupavamo, al più, dei bambini che erano stati in Estremo Oriente e chiedevamo alle famiglie di tenerli a casa garantendo loro una maxigiustificazione di 14 giorni. Altro che Dad. A riempire i giornali era il festival di Sanremo conclusosi poche ore prima. Non tanto per la bella Fai rumore del vincitore Diodato, ma per il rumore dello scazzo tra Morgan e Bugo, un divorzio artistico in diretta televisiva.

Quando non eravamo immunologi.

Due anni dopo, domenica 5 febbraio 2022, aka ieri, i giornali raccontano la fine del Sanremo numero 72, il terzo di Sant'Amadeus, un successone televisivo e social, e ci piace pensare che non sia stato soltanto il festival di Mahmood e Blanco, ma quello della liberazione dopo una guerra con un nemico che ha bussato alle nostre porte qualche giorno dopo quella domenica di due anni fa.

Da Wuhan a Sanremo passando per Codogno, per Alzano, per Nembro, per le mille storie di dolore e coraggio, di stupidità e sgomento, per le 148mila croci piantate in un cimitero che prima nemmeno esisteva.

Sanremo 2022 aveva una ventiseiesima canzone in gara, il testo raccontava la voglia di leggerezza di un intero Paese. Anche dei No Sax, quelli che «io Sanremo proprio no». Abbiamo ballato scatenati e sghembi la dance di tanti brani (l'amore ombelicale è stato surclassato dalla voglia di muovere il culo). Abbiamo assistito ad abbracci sul palco, in platea, senza mascherina, dapprima timidi e poi entusiasti, quasi carnali. Abbiamo ascoltato ridendo la parodia del virologo Checco Zalone e i medici si sono offesi, ma solo un po'. Siamo rimasti a casa a seguire le serate, ma perché ci andava e non perché non potessimo uscire, tanto potremo farlo oggi, domani, forse sempre.

Abbiamo perfino ascoltato Jovanotti e Morandi cantare a squarciatonsille «io penso positivo» senza trovare la parola inopportuna o contagiosa.

Sanremo sa da sempre essere l'anima di questo Paese, anche quella malmostosa, mediocre o puritana. Stavolta ha dato voce semplicemente alla nostra voglia di vita. Roba, questa sì, da brividi.

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