
Ciao ciao, Firenze. Un altro pezzetto dell'indagine d'annata della procura toscana sui mandanti occulti delle stragi di mafia del 1992-93 lascia le rive dell'Arno, direzione Milano. Si tratta di un filone che vede indagato Marcello Dell'Utri (nella foto) per violazione della normativa antimafia e trasferimento fraudolento di valori, accuse per le quali la procura del capoluogo toscano aveva chiesto il rinvio a giudizio dell'ex manager di Publitalia. Secondo i pm fiorentini, Dell'Utri per quei soldi ricevuti dal Cavaliere (per i pm fiorentini come «prezzo per il silenzio» proprio sulle stragi) avrebbe interposto fittiziamente la moglie come destinataria delle somme, omettendo inoltre di rispettare la legge Rognoni-La Torre che per cui i condannati in via definitiva per fatti di mafia hanno l'obbligo di comunicare ogni incremento o diminuzione del patrimonio personale. I difensori di Dell'Utri, gli avvocati Filippo Dinacci e Francesco Centonze, sostenevano invece che il procedimento dovesse essere trasferito a Milano, luogo di residenza dell'ex manager e luogo dove le condotte contestate sarebbero state commesse, ricordando come il filone fosse rimasto a Firenze «solo per la contestazione di aggravante delle stragi». E il gup fiorentino Anna Liguori ha dato ragione agli avvocati di Dell'Utri, trasferendo il fascicolo a Milano.
Uno schiaffo alla procura che, da decenni, continua a lavorare su un teorema ambizioso e soprattutto controverso, con i tanti fascicoli aperti dopo le altrettante (quattro) archiviazioni delle inchieste precedenti sui mandanti esterni di quelle stragi, che videro colpita anche Firenze con la strage dei Georgofili la notte tra 26 e 27 maggio 1993. Il procedimento di strage è ancora in fase d'indagine (praticamente da 31 anni) e per questa ipotesi è ancora indagato anche lo stesso Marcello Dell'Utri, oltre al generale Mario Mori, ex capo del Ros ed ex direttore del Sisde, che lo scorso maggio rivelò di aver ricevuto l'avviso di garanzia il giorno del suo 85esimo compleanno.
Solo che, parafrasando la «Firenze» di Ivan Graziani, ormai nel capoluogo «non c'è più nessuno che mi parli ancora un po' di lei», l'inchiesta infinita. Non c'è più l'ex procuratore capo Giuseppe Creazzo. Anche i pm storicamente associati all'indagine sulle stragi, Luca Tescaroli e Luca Turco, non ci sono più: il primo ha lasciato la procura fiorentina per dirigere gli uffici giudiziari di Prato. Turco, a suo modo «vittima» lui stesso di una giustizia dai tempi ingiustissimi, ha finito per dover andare in pensione per sopraggiunti limiti di età. Dall'altra parte non c'è più Silvio Berlusconi, e anche la presenza nell'indagine di Dell'Utri è ora dimezzata.
Che ne sarà di questo spezzone rimasto nel faldone ora affidato al sostituto Lorenzo Gestri? Il procuratore capo di Firenze Filippo Spiezia, chiamato a Firenze un anno e mezzo fa in discontinuità con il dominio delle correnti di sinistra in riva all'Arno, ne aveva annunciato il de profundis a dicembre scorso: «Le inchieste sulle stragi di mafia ancora aperte saranno chiuse nel 2025». Ma ora Spiezia ha le valigie, direzione Eurojust, mentre l'indagine sui mandanti occulti di quelle bombe di mafia e le dichiarazioni mai riscontrate dei Graviano sono ancora lì.
E sì che unìinchiesta che ipotizzava scenari così estremi avrebbe richiesto pistole davvero fumanti, mai saltate fuori in tre decenni di indagini: ancora nel 2021 Firenze aveva fatto perquisire dei parenti di Giuseppe Graviano a caccia di prove da sequestrare, finendo bacchettata dalla Cassazione che bocciò come illegittima la perquisizione «a strascico».
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