Europeisti non si nasce, lo si diventa. Ma come in ogni storia d’amore che si rispetti, ci dev’essere un buon motivo per innamorarsi del progetto comunitario. Se gli adolescenti di oggi dovessero basarsi su quanto dimostrato da Bruxelles durante la pandemia, è difficile immaginare che possano osservare l’Ue fieri e con lo sguardo incantato. Lo sa bene Roberto Speranza, esponente della “generazione Erasmus”, uno di quelli che si emoziona al ricordo del “primo prelievo della moneta unica al bancomat”. Lo scrive nel suo libro, dove il giudizio verso Bruxelles è implacabile: parla di “coesione che fa difetto”, di “debolezza della risposta europea”, di “formalità, lentezze” e di “incapacità di aggredire i problemi”. Insomma: una “delusione bruciante”. Checché ne dicano i sognatori, il coronavirus ha messo a nudo le debolezze della costruzione europea: mancato coordinamento, politiche sanitarie incomprensibili, accordi sui vaccini che saltano, solidarietà sulle mascherine quasi inesistente.
Sorprenderebbe il lettore, se potesse leggerlo, quanto spazio dedichi Speranza nel suo “Perché guariremo” all’Europa. Sorprende anche la chiarezza con cui, da sinistra, il ministro sottolinei le falle dell’Ue denunciate a più riprese dai cosiddetti sovranisti. Uno dei capitoli più eloquenti è il quinto, intolato “Unire l’Europa”. Speranza ricorda la prima fase della pandemia, quando le capitali vanno ognuna per la propria strada. “La mia sensazione - scrive - è che la coesione ci faccia difetto, che il livello di allerta sul virus sia troppo basso e i meccanismi di funzionamento delle istituzioni comunitaria siano troppo deboli per attivarsi con efficacia in caso di emergenza”. Quando l’Italia chiede una riunione dei ministri della Salute, la commissaria Stella Kyriakides fa melina. “La convocazione (…) tarda ad arrivare, in uno sfibrante rimpallo di responsabilità”. Per riuscire a mettere ufficialmente tutti i Paesi intorno a un tavolo bisognerà attendere il 13 febbraio: un incontro dagli “scarsi risultati”, senza strategie né azioni coordinate. Loro non lo sanno ancora, ma la frittata è ormai già fatta. “Quel giorno, davanti ai rappresentanti dei governi (…), io non ho sentito la presenza dell’Europa”.
È un peccato che gli italiani non possano leggere il libro di Speranza. Perché per quanto vago su molti aspetti oscuri della gestione dell’emergenza, sull’Europa il quadro disegnato dal ministro è chiarissimo. Un colpo in fronte ai ciechi adepti dell’Ue. Sentite qui: mentre logica vorrebbe che in una situazione del genere la Commissione facesse da collante e che Bruxelles coordinasse le azioni dei singoli Stati, tutto si inceppa nei gangli della burocrazia europea. Alla fine, invece di sfruttare le istituzioni comunitarie, l’Italia è costretta a ricorrere all’Europa “informale”. Capito? Tutto quel decantare l’Ue, e poi nel momento del bisogno sei costretto a far leva sui classici rapporti tra Stati. Quelli che, dice Speranza, “nella realtà contano ancora molto più dell’Unione”. Buono a sapersi: che ci stanno a fare allora Ursula von der Leyen e tutto il resto? “Nella reazione al virus - rivela il ministro - ogni Stato nazionale fin da gennaio si organizzerà come può. Esigenze di immagine politica e di popolarità di un singolo governo presso l’elettorato terranno in scacco non solo la salute pubblica di un Paese, ma anche quella degli altri”. E ancora: “Inutile negare che, di fronte al rischio collettivo, la risposta dell’Europa come istituzione è, per diverse settimane, molto al di sotto di ciò che sarebbe necessario”. Di più: i processi decisionali Speranza li ricorda “fatti di discussioni e riunioni passate a girare attorno ai problemi senza risolverli mai”. In che mani siamo?
Come rivelato nel Libro nero del coronavirus (leggi qui), dall’Europa nelle prime fasi l’Italia riceverà solo delusioni. Partite di mascherine bloccate alla dogana, chiusure, un Paese trattato da appestato. “Perché quando il grande malato d’Europa era l’Italia nessuno ha mosso un dito per aiutarla? - ci chiedevamo - Gli egoismi di Bruxelles sulle forniture dei materiali sanitari hanno mostrato, ancora una volta, la fragilità dell’Unione europee”. Solo il 6 marzo “fuori tempo massimo”, l’Ue si decide ad avviare le procedure per l’acquisto condiviso di dpi e respiratori. Forse non è una novità, ma sentirlo dalla voce dal ministro della Salute, convinto europeista, fa un altro effetto. “A distanza di tempo dall’inizio dell’emergenza - scrive - le regole condivise che avrei voluto continueranno a risultare molto difficili, e in certo casi impossibili, da ottenere: perché, per esempio, non avere linee guida comuni sull’istruzione? O sull’apertura o chiusura delle frontiere? O sui controlli relativi ai trasporti, che se non sono uguali per tutti non servono a nessuno? O sui test, e in seguito sulla app per tracciare i contagi?”. Che queste domande se le faccia Speranza la dice lunga sulla debacle dell’Unione.
Non basteranno il Recovery Fund o l’accordo sui vaccini a risollevare l’immagine dell’Europa. Un’istituzione che si dice unita, ma che nei fatti non lo è.
---
5) continua
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.