Tra gli azzurri è il momento dei pompieri, che vogliono spegnere la polemica tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi e riallacciare il dialogo, a cominciare da Antonio Tajani. Ma c'è anche chi soffia sul fuoco. «Questo governo - dicono -, lo vogliamo tutti e certo non parte senza i voti di Forza Italia».
In questo fine settimana tutto tace. Il Cavaliere, tornato ad Arcore, cerca di smaltire irritazione e amarezza e non rientrerà a Roma prima di mercoledì per la seduta al Senato.
«Si risolverà tutto - assicura il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto -. Sono cose che accadono, ma ora basta, punto e a capo. Il padre del centrodestra si aspettava da Meloni un atteggiamento più rispettoso, è convinto che se non avesse portato anni fa Fini e Bossi al governo, ora Lega e Fdi non sarebbero a questo punto. È come un padre che ha dato un ceffone al figlio, si aspettava di essere ascoltato per cose che non ha avuto, che qualche sua richiesta venisse accolta».
Tra le righe c'è il non detto, che i più battaglieri spiegano dietro le quinte. Perché, raccontano, non è solo questione del veto a Licia Ronzulli al ministero della Salute, o del no ad attribuire al ruolo di Guardasigilli per uno di Fi, neanche solo delle «liste di proscrizione» per i senatori che non hanno votato La Russa, e già tutto questo sarebbe sufficiente. Quel che pesa, soprattutto, è un «metodo Meloni» simile e oltre quello Draghi, nel voler scegliere i ministri azzurri fuori dalla rosa proposta e nel mettere bocca nella gestione interna del partito altrui. «Giorgia - spiega polemico un deputato di rango di Fi- ha dimostrato un'invadenza incredibile, arrivando a tirar fuori nell'ultima proposta a Berlusconi personaggi che non si sa chi aveva suggerito e addirittura a suggerire incarichi per non eletti». A lui, racconta, un colonnello di Fdi è arrivato a dire: «Dai, che vi aiutiamo noi a normalizzare' il partito, tenendo fuori dal governo Ronzulli».
Manovre che Berlusconi non può e non vuole tollerare. Non ha intenzione di rompere e crede che neppure l'alleata lo voglia, ma aspetta un segnale di distensione perché ritiene che quell'ultima proposta di Giorgia, dopo aver più volte cambiato idea, non fosse così generosa come la definiva lei. «Cinque ministeri, ma di quale peso a parte gli Esteri per Tajani? E poi a chi, lo decide lei? Meloni dovrebbe ricordarsi che quando Berlusconi la fece ministro della Gioventù a 29 anni nessuno le chiese quante lauree avesse», dicono nell'entourage dell'ex premier. Aggiungono che non può essere accettata una sottostima di Fi rispetto alla Lega, considerato anche che non è entrata nel gioco delle presidenze delle Camere. «Non pensiamo all'appoggio esterno né a salire da soli al Quirinale, però ci aspettiamo un trattamento migliore, più equo. Altrimenti, bisognerà chiedersi se Giorgia vuole spaccare Fi e promuovere il trasformismo dopo aver sempre detto che lo combatteva, o se pensa addirittura di allearsi con Calenda-Renzi».
Se ci sarà la schiarita si vedrà i primi della settimana, anche perché martedì si eleggeranno i capigruppo (potrebbe essere confermato alla Camera Paolo Barelli, ma c'è chi vuole cambiare, mentre al Senato si è parlato di Ronzulli, ma tutto dipende dagli incastri di governo anche per l'attuale Anna Maria Bernini). Mercoledì si scelgono vicepresidenti, questori e segretari delle Camere e si vedrà che spazio avrà Fi.
«Sono convinto - dice Alessandro Cattaneo - che prevarrà il senso di responsabilità e il rispetto per Berlusconi, per ciò che rappresenta, ricordando la sua capacità di mediazione. Meglio che ci sia un chiarimento prima è si parta con il governo per occuparsi dei problemi del Paese».
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