A sentire i politici parlare di nulla ci passa la voglia di chiacchierare

Quando Cantoni quarant'anni fa denunciava il declino della conversazione

A sentire i politici parlare di nulla ci passa la voglia di chiacchierare

Nella nostra turbolenta epoca, dominata da una macchinosa burocrazia e da complesse organizzazioni specializzate nel confezionare e recapitare a domicilio, come pacchi postali, anche i principi, i valori, i gusti nei quali è doveroso credere, stiamo assistendo al triste crepuscolo della conversazione o, per usare un altro linguaggio, al declino dell'individuo. Un uomo interiormente libero come Montaigne poteva affermare: «Io entro in conversazione e in discussione con grande libertà e facilità, perché l'opinione trova in me un terreno poco acconcio per piantarvisi e svilupparvi profonde radici. Nessuna affermazione mi stupisce, nessuna opinione mi ferisce, per quanto contrastante alla mia. Non c'è idea tanto frivola e stravagante che non mi sembri conveniente alla produzione dello spirito umano. Noialtri che priviamo il nostro giudizio del diritto di emettere decreti, consideriamo tranquillamente le opinioni diverse dalle nostre, e se non vi porgiamo la mente vi porgiamo facilmente l'orecchio».

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Lo scettico e raffinato Montaigne, in ogni pagina dei suoi Saggi, critica la ruvidezza dei dogmi e compie l'elogio di quello che chiameremmo oggi pluralismo. Nella vita politica, tuttavia, se non vogliamo cadere in un qualunquismo che pone tutte le idee sullo stesso piano, non operando tra esse distinzioni di sorta, occorre avere una idea più critica e articolata di quello che si debba intendere per pluralismo. Quest'ultimo non è certo una passerella mondana dove sfilano una serie di modelli di cultura tra loro diversi, lasciando poi al pubblico degli spettatori il compito di scegliere nel campionario. Carne in un paese vige una costituzione che va rispettata nei suoi fondamenti, così in un regime pluralistico i partecipanti debbono essere fedeli all'etos del pluralismo, che è, soprattutto, rispetto profondo per la figura e la funzione del proprio avversario. Si colloca fuori da questo etos ogni movimento che considera il pluralismo un principio solo provvisorio, che si rispetta pro tempore et pro re, secondo il tempo e le circostanze, rinviando a un momento più opportuno la revoca del patto provvisorio stabilito.

È una buona cosa l'esistenza di partiti tra loro diversi. Lo spettacolo quotidiano di alcuni partiti, tuttavia, è molto simile al gioco delle maschere dove ogni maschera recita la propria parte e accusa le altre maschere di arroganza, fellonia e incapacità. Gli apparati del potere divengono ogni giorno più simili ai congegni che presiedono al funzionamento di una grande impresa. Il loro compito può sembrare a volte quello dei pupazzi o pupi da fiera che debbono abbattere o uccidere il rivale con inesorabili fendenti o con furibondi colpi di lancia. Di fatto tutti gli strumenti della scienza e della tecnica vengono impiegati oggi nella lotta politica senza esclusione di colpi, ma l'etos di rispettare l'avversario, di volerne l'esistenza e la funzione perché sopravviva il principio prezioso del pluralismo, in cui propriamente consiste il sistema democratico, è, per troppi politici, il grande assente.

Che nelle lotte politiche le parti in gioco sferrino duri colpi e vogliano vincere la partita adoperando tutti gli strumenti in loro potere, è cosa da tempo risaputa, né v'è da attendersi che le cose cambino proprio in questo momento così teso e difficile della nostra storia. Quello tuttavia che inquieta è il fenomeno di una politica ubiquitaria che penetra, giorno per giorno, in spazi sociali e personali sempre più vasti e profondi, provocando l'invasione egemone della politica in tutte le sfere dell'esistenza. La distanza e la divergenza tra etica e politica divengono sempre più sottili e inconsistenti. E non v'è dubbio alcuno su quale sia la parte sacrificata o minimizzata. Proprio la conversazione, ad esempio, subisce danni e devastazioni dall'avvento del panpoliticismo. Il segreto e l'arte della buona conversazione consistono, in ogni campo, nel saper ascoltare, nell'essere disponibili e attenti per ciò che l'altro o gli altri dicono. Il declino della conversazione corrisponde al tramonto del diverso. Si politicizza la famiglia stessa e nell'ambito della vita familiare aumentano le zone di mutismo e ambiguità, incomprensione e incomunicabilità.

Esistono culture che conoscono il gusto e l'arte di conversare. Ve ne sono altre, invece, che ritengono sconveniente l'esercizio di mettere a cimento, magari aspro, idee e principi tra loro divergenti. Ha poco senso, infatti, discutere quando si ritiene che la verità sia una sola, paradigmatica, e ormai già raggiunta e definita. Montaigne, che era uno spirito libero e molto amante del diverso, ha scritto nei suoi Saggi: «Il più fecondo e naturale esercizio del nostro spirito è secondo me la conversazione. Ne trovo la pratica più dolce di alcun'altra azione della nostra vita; ed è la ragione per cui, se ora fossi forzato a scegliere, consentirei piuttosto, credo, di perdere la vista che l'udito o la parola... Se io converso con un'anima forte ed un forte giostratore, egli mi spinge ai fianchi, mi punge a sinistra e a destra, le sue idee danno slancio alle mie. La gelosia, la gloria, la gara mi spingono e mi elevano al di sopra di me stesso. E l'unisono è qualità sempre noiosa nella conversazione».

L'unisono ripete sempre la stessa nota ed è una concordia che riesce infine stucchevole proprio per la concordanza e l'uniformità dei suoni. La polifonia, con la sua varietà e molteplicità di suoni, è invece un arricchimento nella vitalità e nella fantasia dell'universo musicale. Come nella musica, anche nella vita etica e politica ciò che si è soliti chiamare il pluralismo la libera espressione di idee e principi diversi è per l'uomo garanzia che non esistono verità già allestite, che la verità è e deve rimanere, un tema inesauribile di ricerca. Nessuno, infatti, possiede in monopolio la verità o il diritto di imporla agli altri come una dottrina sacra o un catechismo.

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Il gergo politico più in uso mastica e rimastica banalità e si vale di un frasario che consiste spesso nell'arte di non dire nulla, slittando nel generico e nell'astratto ingemmati da alcune parole semiermetiche, prese a prestito da frammenti di un sapere che ha più la funzione della zeppa che non quella della cosa rara o preziosa. Il trapianto di questo gergo nella vita quotidiana va tutto a danno dello scambio delle idee, dei sentimenti e delle immagini. Il gergo logoro e trito segna l'avvento del luogo comune. Chi sopporta ancora senza ridere o sorridere espressioni gergali come nella misura in cui, l'ottica, i nuovi modelli di sviluppo, un confronto civile? E ancora sopravvivono tenaci le espressioni portare avanti, la gestione e l'autogestione, la demistificazione e la dissacrazione, l'eterna ricerca di quello che c'è sotto o dietro. Il tramonto della conversazione e l'avvento di locuzioni convenzionali che si svuotano sempre più di senso, sono due fenomeni paralleli.

Recuperare le vere funzioni comunicative del linguaggio significa tornare a

pensare, uscire dai luoghi comuni sempre più frequenti e sempre più diffusi in certe aree della politica. Significa saper conversare, riscoprire quest'arte dimenticata che è il fondamento di ogni vera democrazia.

9 giugno 1976

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