Come la Francia prova a strappare la Libia all'Italia

La questione degli hotspot da realizzare in Africa mostra alcune lacune del vertice italo - francese di venerdì: stupisce, in particolar modo, l'esclusione della Libia tra i paesi in cui costruire queste strutture. È l'emblema della strategia di Parigi su Tripoli

Come la Francia prova a strappare la Libia all'Italia

Intervenire congiuntamente ovunque negli scenari africani, al fine di alleviare la pressione del radicalismo islamico e dell’emergenza immigrazione, tranne che in Libia: ecco cosa emerge dal vertice italo – francese tenuto a Parigi nella giornata di venerdì.

La Francia non ha fatto mistero dunque di voler gestire la Libia come un propria affare personale, a cui l’Italia eventualmente può dire la sua ma non come attore primario. Tutto nasce da una constatazione, tanto banale quanto palesemente figlia di un preciso ragionamento francese: via libera all’installazione di hotspot per rifugiati in Niger ed in altri paesi da dove partono i migranti, niente da fare invece per un’analoga operazione da tenere in Libia, lì dove arriva la gran massa di disperati pronti a salpare per l’Europa.

Il vertice tra il presidente francese Macron ed il nostro premier Conte, tenutosi nella capitale transalpina dopo lo spettro dell’annullamento per quanto accaduto sul caso Aquarius, ha delineato dunque questo quadro. Non c’è spazio per hotspot in Libia, secondo soprattutto i francesi non sussisterebbero le necessarie condizioni di sicurezza. Ma leggendo tra le righe, ben si comprende come in realtà a Parigi temano che l’Italia possa tornare, con l’istituzione degli hotspot, ad avere quel ruolo di primaria importanza che la Francia vuole strappare al nostro paese sulla sua ex colonia.

Del resto, Sarkozy si è mosso contro Gheddafi nel 2011 proprio per scalzare l’Italia dalla Libia e tranciare quel rapporto privilegiato che il rais aveva instaurato con il nostro paese, più di recente lo stesso Macron ha organizzato a Parigi vertici con milizie ed attori importanti interni allo scacchiere libico. Tutti segnali questi di come la Francia nutra eminente interesse nel fare la voce grossa in Libia.

Ma tutto ciò, ancora una volta, rischia di far tornare al punto di partenza l’intero contesto che riguarda l’immigrazione irregolare verso l’Italia. Stare in Niger o nel Mali, realizzando lì gli hotspot, vorrebbe dire vanificare ogni sforzo se poi proprio nel paese dove partono gran parte degli sbarchi non si intraprendano iniziative volte a far diminuire la pressione migratoria.

C’è da dire che, ad ogni modo, la strategia degli hotspot da realizzare nel paese d’origine potrebbe non dare i suoi frutti, o comunque non nell’immediato. Politicamente però, Italia e Francia ne avallano la costruzione ma, ed è qui che sta l’inghippo, è proprio Macron a mettere maggiormente in discussione l’insediamento di queste strutture in Libia.

Intanto nel paese africano proprio in queste ore aumentano le partenze verso l’Italia ed aumentano gli scontri sulla costa: a Ras Lanuf, tra i più importanti terminal petroliferi della Libia, gruppi armati hanno attaccato l’impianto producendo in due giorni più di 800 milioni di Dollari di danni. Sotto pressione sono sia le forze di Haftar, impegnate anche nella riconquista di Derna, che quelle fragilissime fedeli ad Al Serraj.

Proprio quest’ultimo, con la sua sempre meno incisiva guardia costiera, dovrebbe garantire la sicurezza delle coste libiche e la diminuzione del flusso di immigrati verso l’Italia. Ma così non sembra essere: dalla Libia si parte, con le milizie della Tripolitania pronte a contendersi la fruttuosa fetta del traffico di esseri umani.

Ma soprattutto, tali gruppi armati potrebbero passare all’arma del ricatto della pressione migratoria per cercare di mettere pressione al nostro governo ed ottenere maggiori somme. Nel frattempo, la Francia prova a tessere la sua tela che mira ad avvolgere con i propri interessi i vari interessi che hanno, fino a qui, contraddistinto il ruolo dell’Italia nella sua ex colonia.

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