Per la terza volta nella sua carriera Boris Johnson ha perso il posto di lavoro. La prima accadde al Times, dal quale venne licenziato dopo aver pubblicato una notizia, anzi una citazione, presa da suo nonno, lo storico Colin Lucas, secondo la quale c'era stata una ambigua relazione tra Edoardo II e Pier Gaveston, colti in flagrante al Rose Palace. Johnson ammise la bufala, Gaveston era stato ucciso molto tempo prima che il palazzo venisse edificato. La seconda volta avvenne quando era vicepresidente del partito e ministro del governo ombra, responsabile del dicastero delle arti: disse che Michael Howard, capo del partito, aveva una relazione con la giornalista Petronella Wyatt. La terza, ultima, si è realizzata ieri, dinanzi al portoncino di Downing Street, Boris Johnson lascia il ministero dopo 1078 giorni di mandato, gli stessi di Neville Chamberlain, il premier che si illuse della pace con Hitler, mentre mister Alexander Boris de Pfeffel Johnson ha pensato soprattutto alla propria pace, approfittando del potere. Giornalista, studioso dell'epoca imperiale romana, opinionista irriverente gaffeur del programma «Have I got Got News for You» su Bbc, condotto, tra gli altri, da Roger Moore, collezionista di mogli, tre e figli, sette, Boris Johnson ha amato la politica giocando su più tavoli, il suo modo di governare il Paese è stato definito dagli avversari come il più squallido, ipocrita, falso e volgare della storia inglese. Le prime esperienze risalgono al Novantasette per i conservatori alla Camera dei Comuni nel collegio gallese di Clwyd South, fu sconfitto dal laburista Martyn Jones. Gli andò decisamente meglio tre anni dopo, nell'Oxfordshire, al collegio di Henley-on-Thames.
La svolta arrivò nel 2007 con la candidatura a sindaco di Londra. L'avversario era Ken Livingstone, battuto l'anno dopo alle elezioni, un trionfo che fu letto come la débâcle dei laburisti di Gordon Brown. Fu il periodo di massimo splendore dell'erudito «niuorchese» di famiglia benestante con un carrefour di radici, turche, tedesche, russe, francesi, ebraiche e alcuni rami verso sua maestà Elisabetta II. Anni scapigliati, molte opere librarie, romanzi e scritti vari, un volume su Winston Churchill, The Churchill Factor, How one man made history, un sogno freudiano di poter ripercorrere il governo della figura più storica della politica inglese. I suoi maligni avversari dissero che dell'illustre premier avesse soltanto le iniziali, nel senso che potete immaginare. Per mister Alexander Boris i libri rappresentavano i migliori «volantini» di una grande campagna elettorale che lo portò al trionfo del 2015, insieme con il partito conservatore consolidato da una potente maggioranza raggiunta soltanto negli anni novanta. Non abbandonò l'impegno di primo cittadino di Londra ma era chiaro che il premier David Cameron avesse un nuovo rivale, popolare, imprevedibile, pronto alla sfida. La sua bandiera resta la Brexit, l'uscita inglese dalla comunità europea da lui considerata come una nuova forma di nazismo, ovviamente finanziario. Il vento cattivo del covid ha stracciato il drappo, l'Inghilterra ha pagato con lacrime e sangue un finto lockdown, Boris Johnson ha chiuso all'Europa e ha aperto al virus, l'economia, come altrove, ha sofferto oltre ogni previsione ma il premier ha proseguito, cocciuto e arrogante la sua strada, finendo nella trappola di un party organizzato nei locali istituzionali in contemporanea con la chiusura dei locali e i limiti alla circolazione dei cittadini. Anche in questo caso sarebbe stato sufficiente un sorry, l'ammissione dell'errore. Niente, Boris ha messo la palla in corner, chi gli stava di fianco ha accentuato il disordine, storie di tresche e di tradimenti, pochade o porcate tipiche già dai tempi dello scandalo Profumo, tra il segretario di Stato per la guerra, John Profumo e l'inquietante Christine Keeler modella e amante di una spia sovietica, Eugenij Ivanov, con le dimissioni del governo Macmillan. Boris Johnson ha provato a resistere fino all'ultimo gong, messo all'angolo dai suoi stessi compagni di viaggio, indifendibile il suo vice capogruppo alla Camera, Pincher, accusato di avere, in sbronza totale, palpeggiato due uomini al Cotton Club.
In sei minuti e quattordici secondi, Boris Johnson ha annunciato di lasciare, senza mai pronunciare la parola dimissioni. Aveva l'aria di chi stesse per incominciare un'altra avventura delle sue. Lui stesso aveva predetto l'epilogo: «Non ci sono disastri, soltanto opportunità. E, in effetti, opportunità per nuovi disastri». Bye bye.
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