Garantismo in 9 articoli: assoluzioni inappellabili e stop agli eccessi nella custodia cautelare

La riforma correggerà una serie di disfunzioni che oggi ingolfano i tribunali di processi inutili

Garantismo in 9 articoli: assoluzioni inappellabili e stop agli eccessi nella custodia cautelare
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Nove articoli per mettere mano concretamente alla giustizia: non a una riforma complessiva, obiettivo più ambizioso e di lá da venire, ma ad una serie di disfunzioni esemplificative di un sistema non più accettabile. Questa è la legge Nordio, che diventa oggi operativa. Filo conduttore, un approccio garantista considerato eccessivo da quasi tutte le opposizioni e accusato dai magistrati di non fare i conti con le disfunzioni che le nuove norme porteranno nel funzionamento quotidiano dei tribunali. L'abolizione del reato di abuso d'ufficio, divenuto il passaggio-simbolo del pacchetto approvato ieri, è in realtà solo uno dei provvedimenti destinato ad avere conseguenze pratiche immediate. L'articolo 323 del codice penale viene affondato soprattutto dalla statistica: a fronte di migliaia di procedimenti le condanne si contano in percentuali risibili. La sua abrogazione è l'articolo più chiaro di tutto il pacchetto. Da domani, per tutti i procedimenti aperti per abuso le procure dovranno chiedere l'archiviazione. Il reato che malvolentieri Nordio ha inserito in un decreto legge, il peculato per distrazione, è destinato a prendere il posto dell'abuso solo in un numero assai ridotto di casi. Sopravvive, ma totalmente riscritto e ridimensionato, un altro reato dai contorni vaghi, il traffico di influenze. Il testo precedente era così poco chiaro che la Procura di Milano, che aveva incriminato Beppe Grillo per questo reato per i suoi rapporti con l'armatore Onorato, ha impiegato quasi un anno per valutare la fondatezza della sua stessa accusa, e alla fine ha archiviato tutto. D'ora in avanti il traffico potrà venire punito solo se chi lo commette si fa promettere «denaro o altra utilità economica»; non vengono più puniti i casi in cui il rapporto privilegiato con il pubblico amministratore è stata una semplice vanteria.

L'afflato ultra-garantista della legge si fa sentire ancora di più nell'articolo 2 che interviene con decisione sul tema delle intercettazioni, modificando le norme su due versanti delicati: la loro acquisizione e la loro pubblicazione sui giornali. Su questo secondo fronte lo stop è destinato a cambiare la cronaca giudiziaria come esiste oggi, perché non sarà più possibile pubblicare le intercettazioni se non sono contenute nell'ordinanza di cattura: tutto quanto viene depositato insieme ad essa, materiale spesso assai vasto cui i giornalisti attengono a piene mani, sarà impubblicabile. E prima ancora di finire in mano ai cronisti, le intercettazioni d'ora in poi dovranno superare nuovi ostacoli per essere realizzate e depositate: divieto assoluto di intercettare i colloqui tra indagati e difensori, e divieto di trascrivere intercettazioni di persone non indagate.

Ma nella vita quotidiana dei palazzi di giustizia, più ancora del bavaglio agli eccessi della stampa, il vero cambiamento si produrrà con le norme che cambiano l'emissione delle ordinanze di custodia in carcere. Per spedire un indagato in carcere preventivo non basteranno più la richiesta di un pm e la firma di un giudice, ma l'ordinanza di un collegio di tre giudici. È una norma contro la leggerezza con cui le richieste delle procure vengono accolte, ai danni di indagati che poi magari si rivelano innocenti. Ma non è un caso che sia l'unica norma della legge che entrerà in vigore solo tra due anni: il ministro è consapevole del rallentamento che è destinata a creare nella repressione di crimini anche gravi, e per questo promette nuove assunzioni di giudici. Ma non è detto che bastino, anche perché i tre giudici che valuteranno la richiesta diventeranno incompatibili con gli altri passaggi dello stesso processo. Inoltre, la legge d'ora in avanti obbliga il giudice - se l'unico elemento a carico dell'indagato - è il rischio di reiterazione del reato, a convocarlo e interrogarlo prima di arrestarlo. Per fare un esempio attuale, con questa legge il governatore ligure Giovanni Toti avrebbe avuto la possibilità di discolparsi a piede libero prima di finire agli arresti domiciliari. E poi c'è la lettera N, quella che nello schieramento garantista alcuni considerano una occasione perduta o una mancanza di coraggio: da oggi i pubblici ministeri non potranno più appellare le sentenze di assoluzione emesse in primo grado. È una misura di civiltà giuridica, introdotta a suo tempo dalla legge Pecorella ma abrogata dalla Consulta, che ora ritorna in vigore ma solo per i reati minori.

Sono i reati per cui si finisce a processo senza passare per l'udienza preliminare, puniti con pene fino a quattro anni di carcere, compresi anche reati importanti come l'evasione o la falsa testimonianza: in questi casi, basterà l'assoluzione in primo grado per chiudere definitivamente il processo. Ma paradossalmente si potrà continuare a finire all'ergastolo anche dopo che una corte d'assise ha assolto con formula piena.

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