Il gasdotto nel mirino dell'Isis (e dei rapitori)

di Francesco ForteLa vicenda dei quattro della Bonatti ha molto più a che fare col petrolio e con l'Isis di quello che si sia sentito in questi giorni. A Mellitah, sulla costa libica, poco lontano dalla Tunisia, nelle cui vicinanze si è verificato il rapimento, vi sono il complesso dell'Eni e il terminale di Greenstream, il più lungo gasdotto del mediterraneo che porta gas dalla Libia a Gela, ove entra nella rete internazionale Eni. L'Eni ha il 75% delle azioni di Mellitah Oil and Gas Company, l'altro 25% è di Noc compagnia di Stato libica Noc. Il gasdotto, costruito dalla Saipem, è lungo 520 km e arriva alla profondità di 1.127 metri, con una portata di 8 miliardi di metri cubi l'anno. È vitale per l'Italia e per l'Europa. Farlo saltare sarebbe per l'Isis un attentato di effetto molto superiore a quello di Parigi, paragonabile alle Torri Gemelle. D'altra parte gli impianti di Mellitah, nella parte che rifornisce due miliardi di metri cubi di gas alla Libia potrebbero non essere sabotati e diventare per l'Isis una fonte di denaro e di potere. L'ad dell'Eni Descalzi a dicembre ha incontrato il presidente della Noc, per studiare il raddoppio della produzione di gas di questo complesso, sfruttando i giacimenti enormi. I quattro tecnici della Bonatti lavoravano nel contratto di manutenzione che la Bonatti ha con l'Eni per una parte del gigantesco complesso. All'interno di esso lavorano circa 400 persone. Loro però non vivevano nella cittadella Eni di Mellitah, sorvegliata da guardie armate ben addestrate, ma nelle vicinanze. E sono stati rapiti da ribelli che operano nei dintorni della città di Sabratah di identità ignota. Sta però di fatto che l'Isis ha annunciato che avrebbe attaccato l'impianto. I segnali preliminari non mancano. Il 30 agosto 2015 un'autobomba è esplosa a Tripoli davanti al quartier generale di Mellitah Oil Company, joint venture fra Eni e Noc. Il complesso di Mellitah dell'Eni ha subito il 13 gennaio un attacco. Di certo una guerra italiana in Libia è prematura, ma collaborare con il governo di Tripoli, anche se islamico e nemico di quello di Tobruk, è necessario anche perché mentre tutti gli impianti Eni e di Total Francese e di BP inglese, in Cirenaica sono chiusi, quelli in Tripolitania sono in funzione e si tratta di una ricchezza enorme, non solo a Mellitah. Però mentre si deve aiutare Tripoli in emergenza senza fare alcun intervento generale armato, che il governo di Tripoli non desidera, bisogna insistere in modo concreto sull'insediamento effettivo del governo di unità nazionale, cioè sul piano A. La frammentazione della Libia con la Tripolitania sotto il controllo italiano e la Cirenaica sotto il controllo francese e inglese, come auspica il piano B di Parigi, sarebbe un danno enorme per noi. Dobbiamo insistere nel modello Eni di Mattei di collaborazione coi Paesi africani, come ha fatto Berlusconi con la Libia, all'epoca di Gheddafi, in un accordo che prevede un'autostrada dalla costa Ovest della Libia a quella Est, raccordandola con l'Egitto. Se è vero che Cirenaica, Tripolitania e Fezzan sono etnie diverse e rivali, è anche vero che sono economicamente complementari.

La loro disintegrazione, con la spartizione serve alle compagnie petrolifere multinazionali per mettere in ginocchio l'Eni e fare un neocolonialismo che porterebbe alla guerra. Ha ragione Berlusconi, che il metodo dei bombardamenti che ama la Francia sarebbe un errore. Occorre una strategia attiva e non passiva, come quella di Renzi.

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