Ci sono misure di emergenza a scoppio ritardato. Quella prospettata ieri da Paolo Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici, è tra queste. «Nel nostro attuale Patto di stabilità e crescita sono previste clausole di flessibilità per circostanze eccezionali», spiega. Il diffondersi in Italia del coronavirus, con il suo strascico di velenosi effetti collaterali sulle attività produttive e sulla finanza, rientra in questa categoria. Come il terremoto dell'agosto 2016, un evento catastrofico che permise al governo di ottenere, l'anno dopo, margini di sforamento sul deficit per 3,3 miliardi di euro. L'ex premier ne è sicuro: andrà così anche stavolta. «La risposta c'è già nelle regole», garantisce. Il punto sta nella tempistica degli aiuti, visto che la richiesta italiana di flessibilità «sarà oggetto di discussione nei prossimi mesi». Prima di concedere indulgenza sui conti pubblici a un Paese che, come ha ricordato lo stesso Gentiloni, continua a presentare squilibri macroeconomici eccessivi a partire da un debito in ascesa, Bruxelles vuole infatti prima toccare con mano i danni provocati dall'epidemia sul tessuto economico.
L'Italia, però, avrebbe bisogno di aiuti in tempi stretti. Magari sotto forma di un fondo comunitario anti-virus. Non c'è tempo. Proprio ieri, Moody's e Dbrs hanno posato la lente sulla Penisola per giungere a un'identica conclusione: l'epidemia accresce il rischio di uno scivolamento in recessione dell'Italia, anche se il rating non dovrebbe subire sforbiciate. Magra consolazione. Anche perché, finora, le agenzie di valutazione hanno rivisto le proprie stime sulla crescita mondiale sulla base di una rapida risoluzione dell'epidemia (Moody's prevede ancora un +2,4% quest'anno). Ma se il Covid-19 dovesse mutarsi in una pandemia, allora ci sarebbe una contrazione economica globale. Con effetti sul nostro Paese devastanti.
La rapida messa in sicurezza dell'economia reale, soprattutto nelle zone più colpite dalla serrata da contagio, è una condizione essenziale per impedire ulteriori tensioni sul lato della finanza pubblica, già finita sotto stress negli ultimi giorni a causa dell'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato e dello spread (ieri attorno ai 148 punti), e di quella privata. Il ritorno al rialzo di Piazza Affari (+1,44% ieri) è stato determinato dal temporaneo recupero di Wall Street, tornata in negativo (-0,5%) a un'ora dalla chiusura dopo i 1.737 miliardi di dollari bruciati fra lunedì e martedì. Ma non ha colmato le pesantissime perdite accumulate da inizio settimana. La chiusura piatta delle altre Borse europee ne è la conferma. D'altra parte, la gravità della situazione è ben visibile anche nella caduta ai minimi storici - e a livelli inferiori a quelli dell'11 settembre - dei tassi dei Treasury Usa a 10 e 30 anni. Significa che gli investitori sono disposti a prestare denaro al governo in cambio di rendimenti irrisori, pur di avere in mano l'assicurazione che riavranno i propri soldi.
I mercati aspettano risposte. E non a scoppio ritardato. Le vendite a pioggia di lunedì e martedì scorsi sono da molti analisti interpretate come una richiesta di aiuto. Soprattutto alla Federal Reserve. Stando ad alcune voci, la banca centrale americana avrebbe già pronto un piano B, da svelare domani se la Borsa di New York finisse ancora nella tempesta: un intervento diretto sul mercato, con l'acquisto di azioni per un importo mensile prestabilito. Un «Qe 3.
0» che, oltre a gonfiare il già ipertrofico bilancio della Fed, segnerebbe anche un punto di non ritorno sul terreno dell'azzardo morale. Un piano sicuramente benedetto da Donald Trump. Sempre più preoccupato, in chiave elettorale, per la salute di Wall Street.
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