
Non è soltanto una crociata personale del presidente Donald Trump, ma un tentativo strutturato dell'amministrazione americana di affrontare l'insostenibilità del debito pubblico. È questa la lettura che Roberto Brasca, amministratore delegato di Alisei Sim, offre in merito alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. «Non è Trump il protagonista autoreferenziale, ma la punta dell'iceberg di un approccio proattivo», osserva.
Con un debito che ha raggiunto i 29mila miliardi di dollari, contenere la sua crescita al ritmo del Pil richiederebbe una riduzione del deficit di 10mila miliardi in dieci anni. Un traguardo complicato da raggiungere, anche alla luce della volontà dell'amministrazione di estendere i tagli fiscali, che potrebbero costare altri 2.500 miliardi nei prossimi cinque anni. In questo scenario, l'imposizione dei dazi non appare più solo una mossa di politica estera, ma anche un tentativo di rafforzare il gettito fiscale. Secondo le stime, infatti, le tariffe già annunciate potrebbero generare entrate per circa 1.500 miliardi di dollari in un decennio.
Tuttavia, il rischio è alto. Di fronte agli Stati Uniti c'è un competitor di peso: la Cina. Un Paese con risorse economiche, forza politica e ambizioni globali, capace di ridurre se non azzerare gli acquisti di titoli di Stato americani, finora finanziati proprio con l'avanzo commerciale con Washington. La Cina, infatti, è il secondo detentore estero di debito Usa con 784 miliardi di dollari proprio dietro i 1.100 miliardi del Giappone
In questo scenario, l'Europa potrebbe giocare una partita importante. «Con nuove risorse pubbliche destinate a difesa e infrastrutture, l'Ue può sostenere la domanda interna», aggiunge Brasca, suggerendo un riequilibrio delle strategie di investimento: «Un asset allocation meno concentrata sugli Usa, con esposizione stabile su Cina e Giappone e più spazio per l'Europa, potrebbe aiutare ad affrontare la volatilità dei prossimi mesi», rimarca.
Anche il ministro dell'Economia italiano, Giancarlo Giorgetti, intervenuto alla presentazione romana del nostro settimanale Moneta, ha riconosciuto che «la questione dei dazi si inserisce in un cambiamento strutturale». Il meccanismo per cui la Cina comprava debito americano in cambio di esportazioni sta cedendo. «L'azione di Trump è una reazione alla necessità di riscrivere le regole del commercio globale», ha puntualizzato. Se il vero obiettivo di Trump è il riequilibrio commerciale con la Cina, allora occorre evitare una spirale di azioni e reazioni. Anche perché il recente indebolimento del dollaro e l'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato Usa già rappresentano un segnale di sfiducia.
A questo proposito l'agenzia Scope Ratings ha analizzato tre possibili scenari. Il più ottimistico, il cosiddetto Tariff-light, prevede una fase di protezionismo moderato, con effetti gestibili.
Il secondo, Trade war, ipotizza un conflitto strutturale, con recessione piena nel 2025 e pressioni inflazionistiche. Il terzo, il più grave, prospetta una crisi economica e finanziaria con depressione pluriennale e un attacco frontale alla fiducia nel dollaro.GDeF
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