Finché c'è emergenza, c'è vita. Con i 5 Stelle pronti a infilarsi nella lotta dilaniante per la nuova leadership, Renzi con i fucili puntati e le Regioni che premono per una vera Fase 2, a Palazzo Chigi preparano i sacchetti di sabbia. Anche nel Pd c'è insofferenza verso il Conte solitario, ma al momento per il Nazareno l'attuale equilibrio instabile resta l'opzione migliore. C'è coscienza che ci sarà battaglia: «Nelle prossime settimane -dice il vicesegretario Andrea Orlando - vivremo attacchi al governo che mirano a una sua caduta, ispirati anche da centri economici e di informazione, e non tanto per correggere, com'è lecito, l'attività di governo, ma per rivedere il patto di governo e per riorganizzare la maggioranza». Quel che non dice, è che gli attacchi arrivano dalla maggioranza.
Conte lo sa benissimo e sa anche che al momento la migliore garanzia per lui è restare super Conte: un premier con i «pieni poteri» esercitati a colpi di Dpcm grazie alla dichiarazione di stato d'emergenza decretata in gennaio. Almeno finché non si saranno visti gli effetti dei soldi a pioggia previsti dal Dl Rilancio. Nella cui bozza una manina aveva infilato una norma capace di far imbizzarrire i costituzionalisti: una proroga monstre dello stato d'emergenza fino al 2021. Basti pensare che negli altri Paesi proroghe simili non sono infilate in un oscuro comma di un decreto di 500 pagine, ma sono oggetto di dibattito parlamentare. E, soprattutto, sono brevi: ieri, per dire, la Spagna ha prorogato l'emergenza fino a tutto giugno. «Non ci sarà nessuna proroga -dice Stefano Ceccanti del Pd- quella delle bozze del Dl Rilancio era solo una formulazione infelice». A conferma del giallo sulla proroga, il Dl Rilancio è ancora bloccato a Palazzo Chigi ed è in ritardo alla bollinatura del Mef («oggi arriva, promette Conte»). Sta di fatto che, per arginare la levata di scudi, è servito un decreto che riordina le fonti del «diritto d'emergenza», sana i Dpcm già emessi, ribadisce l'emergenza fino al 31 luglio e lascia aperta la possibilità di nuovi Dpcm ma con paletti.
Per superarli e dare il via alle riaperture, si è dovuto creare un nuovo schema complesso: le regole sono ribadite prima da un decreto, poi un Dpcm firmato ieri sera da Conte e infine dalle ordinanze delle Regioni, cui il governo ha dovuto cedere: caduto il divieto di stabilire regole meno restrittive rispetto a quelle del governo. Per Conte è anche un modo, se va male, di scaricare qualche responsabilità.
Tra i governatori si è creato un fronte coriaceo: l'assurdo reticolo di linee guida dettate dall'Inail e vistate dall'Istituto superiore di sanità si sarebbero sommate a quelle regionali e locali rendendo praticamente impossibile la riapertura dei negozi. Tanti, infatti, avevano già annunciato che piuttosto che infilarsi in quel ginepraio avrebbero tenuto giù la claire. Inaccettabile per le Regioni del centrodestra, ma anche per un governatore autonomo come Bonaccini.
E perfino il più allineato Enrico Rossi ieri ha tirato un calcio: «Provo imbarazzo e chiedo scusa per non avere ancora potuto comunicare l'ordinanza per le riaperture in
Toscana. Siamo pronti, ma io non posso firmare nulla senza il Dpcm del governo. I ritardi stanno determinando una situazione di incertezza». Segnali foschi per Conte. Meglio tenersi stretti i super poteri più a lungo possibile.
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