Se la missione di pace di Salvini in Polonia si era risolta con un mezzo autogol (la contestazione del sindaco polacco con la maglietta di Putin), la missione diplomatica a Mosca - neppure iniziata - è andata persino peggio. Il leader leghista è riuscito in un sol colpo a far irritare Palazzo Chigi, a mettere in allarme servizi segreti e ambasciate, ad attirarsi le critiche degli alleati e a far riesplodere i malumori dell'ala governista della Lega e le accuse al nuovo «cerchio magico» che circonda il Capitano. Il premier Draghi non la tocca piano quando ricorda che «il governo si è fermamente collocato nella Ue e nel rapporto storico transatlantico» e che i leader della maggioranza possono avere relazioni anche fuori dal perimetro atlantico ma - sottolinea Draghi - «è importante siano trasparenti». La genesi del viaggio moscovita di Salvini invece è ancora da chiarire e riguarda in particolare la rete di relazioni di un nuovo personaggio che consiglia il segretario della Lega, l'ex forzista Antonio Capuano, organizzatore del viaggio a Mosca.
Ci sarebbe lui dietro l'incontro avuto ad inizio marzo da Salvini con l'ambasciatore russo in Italia, Sergey Razov, molto attivo nel diffondere la propaganda di Lavrov. Su questo ha acceso un faro il Copasir, il cui presidente Adolfo Urso (Fdi) conferma di aver avviato «le usuali procedure informative previste in merito all'attività che sarebbe stata svolta dall'avvocato Antonio Capuano nei confronti di alcune rappresentanze diplomatiche presenti nel nostro Paese su temi inerenti la sicurezza nazionale». L'iniziativa di Salvini ha scatenato le reazioni del centrosinistra. Il segretario Pd Enrico Letta chiede spiegazioni, «mentre la crisi era in corso c'erano trattative tra l'invasore russo e un partito di governo italiano. Non è una vicenda che può terminare a tarallucci e vino». Salvini gli risponde con un tweet: «Noi da settimane lavoriamo per la pace, dialogando con tutti per arrivare ad un cessate il fuoco, mentre il Pd parla solo di armi e guerra. Più chiaro di così...». Ma anche nel centrodestra il progetto di Salvini è considerato un errore. Giorgia Meloni avverte che il canale con Putin spetta al governo non ai singoli leader di partito, «perché non dobbiamo correre il rischio di dare segnali di crepe nella compattezza dell'Occidente». Anche per il numero due azzurro Antonio Tajani «ogni partito può fare quello che vuole, ma una visita del genere va concordata anche con il governo». Linea che lo stesso vice di Salvini, il ministro Giancarlo Giorgetti, ha fatto subito valere («Bisogna muoversi di concerto con io governo»). Nella stessa Lega in molti sono rimasti spiazzati, in primis l'ala dei leghisti «draghiani». I governatori si trincerano dietro un no comment (Zaia: «Non ne so nulla, mi fermo qui»), Giorgetti come da prassi assicura che «nella Lega non ci sono dissidi». Salvini, fresco di vittoria milanista, si affida invece alle metafore calcistiche: «La Lega è una grande squadra e in una grande squadra ci sono giocatori con caratteri diversi, ma gli obiettivi sono comuni e concreti. Il tentativo di alimentare litigi e divisioni si ripete sempre uguale, noioso e inutile».
Altre bordate arrivano dai vertici del Ppe («Se fossimo negli anni '40 andrebbe a parlare anche con Hitler?» chiede l'eurodeputato Ppe ed ex premier lituano Andrius Kubilius). Salvini tira dritto: «L'impegno per la Pace vale più di qualsiasi critica», twitta. Ma la valigia per Mosca ormai è tornata nell'armadio.
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