Il giudice poeta se ne va. "Mi avessero fatto il test..."

Il magistrato si è dimesso dopo aver accumulato ritardi. "Perché non si valuta chi deve indossare la toga?"

Il giudice poeta se ne va. "Mi avessero fatto il test..."
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«Prima di diventare magistrato - racconta Ernesto Anastasio - avevo fatto il concorso per diventare poliziotto. Alla fine mi fecero un test psicoattitudinale e mi dissero: «Guarda, tu hai una fragilità emotiva, pensa se ti trovassi allo stadio a fare ordine pubblico, ti fai prendere dall'agitazione e chissà cosa combini. Tu il poliziotto non lo puoi fare». Ecco, sarebbe stato bene che il test me lo avessero fatto anche al concorso per magistrato. Invece niente, lì non è previsto. Alla prova scritta si valuta se sai scrivere in italiano e se conosci i codici, all'orale se hai la presenza di spirito per reggere alla sollecitazione delle domande. Ma che tu sia adatto a fare il magistrato, che tu sia mentalmente in grado di amministrare la giustizia, non viene verificato in nessun modo».

Non usa giri di parole, Anastasio, per raccontare il percorso che lo ha portato a diventare un ex magistrato. «Clamorosa defaillance». «Patatrac». «Catastrofe». Il 18 dicembre ha presentato le sue dimissioni. Da settembre era sospeso dalle funzioni e dallo stipendio, se non si fosse dimesso il Consiglio superiore della magistratura era pronto a rimuoverlo, a licenziarlo. Anastasio ha giocato d'anticipo: «Per il bene della magistratura, dell'utenza e in fondo anche per il mio».

È passato alle cronache come il «giudice poeta». Colpa di un passaggio della perizia psicologica commissionata dal Csm al professor Stefano Ferracuti dopo l'apertura del procedimento disciplinare, «feci lo sbaglio di dirgli che in passato avevo scritto qualche verso, e che mi sarebbe piaciuto come mestiere tradurre i classici. Lui lo riportò nella sua relazione che finì sui giornali. Così sono stato raccontato come uno che invece di fare le indagini compone sonetti. Ma non è questa la verità, questo non sono io». Chi è allora, lei? «Una persona fragile che non dovrebbe mai essere stata assunta in magistratura. Il primo ad accorgersi di una mia indole particolarmente cavillosa e perfezionista fu Luigi De Magistris, che mi ebbe come uditore a Napoli, mi ricordo le sue lavate di capo». Ma non era solo un problema di cavilli... «Sono andato a fare il pubblico ministero in Calabria. Per fare il pm in Calabria serve essere agguerriti. Ma io non sono una persona agguerrita». La sindrome di Anastasio, dice Ferracuti nella relazione al Csm, è «disturbo evitante della personalità».

Comincia in Calabria quella che diverrà una costante, i fascicoli lasciati lì, accumulati a centinaia negli armadi, senza che nessuno gliene chieda conto: a Cosenza, a Castellammare, a Santa Maria Capua Vetere. «Il procuratore di Cosenza, Alfredo Serafini, per me era come un padre. I colleghi, forse per pietà, non mi chiesero conto dei fascicoli abbandonati. Col senno di poi, forse sarebbe stato meglio che lo facessero». Intanto Anastasio, incredibilmente, supera tutte le valutazioni di professionalità del Csm, per tre volte. Solo al quarto scatto di anzianità il Csm gli dice di no. Ma ci mette sette anni, dal 2015 al 2022, mentre Anastasio continua a occupare il suo posto, a accumulare arretrati, prigioniero dei suoi demoni. Perché la bolla scoppi bisogna aspettare il disastro di Perugia, dove intanto era arrivato a fare il magistrato di sorveglianza, e anche lì accumulava arretrati: fin quando tre detenuti affidati ai servizi sociali vengono sorpresi a violare le regole, e Anastasio invece di rimandarli in cella se li dimentica fuori. «Avevo perso il contatto con la realtà». Nel frattempo la moglie lo lascia, e questo lo sprofonda ancora di più.

Adesso Anastasio è fuori dal sistema, con i suoi 55 anni e la sua laurea in legge a cercare di iniziare una nuova vita. Senza la toga, dice, «sono rientrato in me stesso». Suo nipote ha vinto X Factor, «e qualcuno ha detto che i testi delle canzoni glieli avrei scritti io, il giudice poeta... una stronzata». Dei suoi ventiquattro anni in magistratura, in un lavoro che non avrebbe mai dovuto fare, parla con fatica, sensi di colpa, bagliori di effimere soddisfazioni. «Certo, se ci fosse quel test all'entrata... Non dico di fare il test Minnesota ogni cinque anni a chi è già in servizio, quello sì che può diventare uno strumento di controllo.

Ma quali sono le controindicazioni a valutare all'inizio, dopo la vittoria del concorso, se uno è adatto alla toga? Qual è il danno alla democrazia o al prestigio della giustizia? Io non sarei mai diventato magistrato. E sarebbe stato un bene per tutti».

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