Giulio ucciso per errore. "Niente soldi ma giustizia"

L'uomo fu sciolto nell'acido per uno scambio di persona. Ora la famiglia rifiuta il risarcimento

Giulio ucciso per errore. "Niente soldi ma giustizia"

Una fine orribile, quella di Giulio Giaccio, ucciso e sciolto nell'acido per un errore di persona. Oggi, a 23 anni di distanza, la famiglia dell'operaio ucciso a Napoli nel 2000 ha rifiutato i soldi offerti alla vigilia del processo dai due uomini arrestati per l'omicidio per cercare di evitare l'ergastolo. «Non vogliamo un risarcimento ma giustizia per chi ha spento il sorriso di Giulio», hanno detto confidando esclusivamente nelle determinazioni dell'autorità giudiziaria. La vittima innocente aveva 26 anni quando venne uccisa e non aveva nulla a che fare con la criminalità organizzata.

Oggi è in programma l'udienza preliminare per i due imputati, Carlo Nappi, 64 anni, e Salvatore Cammarota, 56 anni, già condannati in passato per associazione camorristica e legati al clan Polverino, ritenuti i mandati dell'efferato caso di «lupara bianca», che hanno proposto un risarcimento di 30mila euro ciascuno in contanti più alcuni immobili del valore stimato di 120mila in immobili per ottenere uno sconto di pena. «Il massimo sforzo economico» che possono sostenere, hanno fatto sapere i legali. Oggi i due potrebbero chiedere di essere giudicati con il rito abbreviato, per ottenere uno sconto di un terzo della pena previsto dalla legge. L'offerta non è stata proprio presa in considerazione dalla famiglia e adesso sarà il gip a decidere.

Giulio venne scambiato per un uomo che aveva avuto una relazione con la sorella di un esponente del clan e morì per errore, senza aver mai avuto a che fare né con quella donna né con la camorra. Era il luglio del 2000 quando l'operaio venne prelevato in piazza, vicino casa sua, a Pianura, da quattro uomini che si spacciarono per poliziotti. «Salvatore, devi venire con noi per accertamenti», gli dissero. Lui spiegò che non si chiamava Salvatore, ma fu costretto a seguirli lo stesso. Anche durante il tragitto in auto continuò a spiegare che non era lui la persona che cercavano e che il suo nome era Giulio, non Salvatore. Ma nessuno gli diede retta. Da quel giorno di lui non si seppe più nulla. Finché nel 2015, ben 11 anni dopo, un collaboratore di giustizia cominciò a parlare dell'omicidio definendolo «il capitolo più nero e angoscioso» della sua storia criminale. Dichiarazioni che, grazie anche ai riscontri di altri pentiti, sette anni più tardi hanno consentito ai magistrati di chiudere l'inchiesta chiedendo il rinvio a giudizio dei due uomini legati al clan. L'errore che ha condannato a morte un giovane che non aveva mai avuto nulla a che fare con la malavita fu del cosiddetto «specchiettista», cioè di colui che deve indicare ai sicari la persona da colpire. Giulio fu scambiato appunto per Salvatore, un uomo che stava intrattenendo una relazione - osteggiata - con la sorella di Cammarota. E per questo venne ucciso con un colpo di pistola alla testa. Il suo cadavere fu preso a calci dal boss e poi sciolto nell'acido, mentre i denti che non si erano dissolti furono presi a martellate.

Nel corso degli anni la vicenda fu oggetto di diverse indagini, ma

vennero tutte archiviate. Oggi arriva finalmente in aula, con gli imputati che hanno provato a giocarsi l'ultima carta per evitare il carcere a vita. Sarà il giudice a valutare se accettare la richiesto di rito abbreviato.

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