Ci sono voluti vent'anni di aspra persecuzione giudiziaria, segnata da soprusi, colpi bassi e vili abusi, perché il dogma del giustizialismo cominciasse a franare. Aldilà dei rosiconi anti Cav, che hanno sbeffeggiato la decisione della Corte d'Appello con insulti e parolacce, l'assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby apre un fronte nel Partito democratico. Matteo Renzi si è guardato bene dal commentare, si è limitato a confermare l'asse con Forza Italia sulle riforme. Tuttavia, in via del Nazareno qualcosa si muove. "Nei vent’anni alle spalle qualche eccesso di giustizialismo c’è stato - ammette il presidente del Pd Matteo Orfini al Corriere della Sera - in alcune parti della sinistra si è perso il senso della cultura delle garanzie". E adesso c'è chi chiede la testa di Marco Travaglio e del direttore di Repubblica Ezio Mauro.
Va bene l'assoluzione, va bene la gioia del momento, ma nel fondo del calice rimane l’amarezza. Quella più difficile da bere: i danni politici e di immagine causati dalla vicenda Ruby. Per questo, nel commentare la decisione della Corte d'Appello di Milano, Berlusconi parla di "un'accusa ingiusta e infamante" per la quale riecheggiano ancora nella sua testa gli anni di "aggressione mediatica, i pettegolezzi, e le calunnie". A Milano arriva così la sentenza più attesa per il Cavaliere: quella che lo assolve dalle accuse di concussione e di prostituzione minorile. Assoluzione che, però, non cancella quattro, lunghissimi anni di aggressione mediatica, gossip voyeuristico e libidinoso, diritto alla privacy negato. Sul Rubygate ci hanno campato i soliti anti Cav che riempivano i salotti radical chic, i manettari di Repubblica e Fatto Quotidiano che quotidianamente pubblicavano pettegolezzi infondati e intercettazioni illegali, i commentatori progressisti che per avere cinque minuti di visibilità infangavano l'Italia agli occhi del mondo. Quello che è successo dopo è storia: i sorrisetti di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, l'attacco della Germania ai nostri titoli di Stato, le manovre di Giorgio Napolitano per piazzare Mario Monti a Palazzo Chigi e, infine, le dimissioni di Berlusconi da premier. Adesso che la Corte d'Appello ha dimostrato che "il fatto non sussiste" se non nei teoremi sconclusionati di Ilda Boccassini e soci chi si assumerà l'onere delle scuse? Probabilmente nessuno.
A caldo, la reazione del Pd all’assoluzione è stata fredda, ma istituzionale. Con Verini prima e la vicesegretaria Serracchiani poi, i dem si sono limitati a ricordare come il partito abbia rispettato la sentenza di primo grado e come adesso rispetti quella d’appello. Oggi, invece, il mood è cambiato. Da Maputo Renzi ci ha tenuto a confermare l'asse con Berlusconi: "Con Forza Italia che rappresenta milioni di voti non c'è un accordo di governo ma istituzionale perché in un Paese civile le regole si fanno insieme. Dal punto di vista istituzionale mantenevo la parola anche se Berlusconi fosse stato condannato". In via del Nazareno il vento sembrerebbe cambiato. Orfini è addirittura disposto ad ammettere qualche colpa. Niente nomi, per carità. Piuttosto un appello a recuperare, in futuro, il valore del garantismo. Giorgio Tonini, vicecapogruppo piddì a Palazzo Madama, fa di più e chiede che si dia un taglio coi vari Travaglio e Repubblica, "leader mediatici che hanno fatto la loro fortuna" sull'antiberlusconismo. "Tanti personaggi della televisione e diversi intellettuali criticavano i nostri leader per essere troppo poco antiberlusconiani - spiega ad Affaitaliani - è un bene che ci siamo liberati da questa subalternità". Eppure, ancora oggi, il Guardasigilli Andrea Orlando si dimostra riottoso a dialogare col centrodestra per scrivere insieme la
538em;">riforma della giustizia. "Il rischio - spiega è che la discussione si schiacci pro o contro Berlusconi".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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