Dal Kenya il Presidente Sergio Mattarella auspica una «congiunta, lucida e ben organizzata azione europea». A Roma, sul fronte del governo, molte voci si associano a quelle di Massimiliano Romeo, il capogruppo della Lega al Senato che evoca un coinvolgimento della Nato per contrastare una «guerra dei migranti» in cui il ministro della Difesa Guido Crosetto e quello degli Esteri Antonio Tajani intravvedono lo zampino russo. Appelli ispirati alle conclusioni del Consiglio Supremo di Difesa che lo scorso 17 gennaio rimarcò la preoccupazione italiana per le attività della Russia dal Mediterraneo al Sahel. Una preoccupazione che spinse Roma a chiedere alla Nato maggiore attenzione per il nostro fronte marittimo. Dal Quirinale a Palazzo Chigi si respira insomma la sensazione che l'Italia non possa resistere da sola alle interferenze capaci di moltiplicare gli sbarchi di migranti. L'appello alla Nato è però in parte superfluo. Da almeno sette anni l'Alleanza è alla guida di una missione navale che opera nel Mediterraneo e ha tra i suoi obbiettivi anche il controllo dei traffici da Tripolitania e Cirenaica. La missione - a cui partecipa anche l'Italia sotto il Comando Marittimo Alleato di Northwood (Regno Unito) - è denominata «Sea Guardian» e venne decisa nel 2016 in seguito al coinvolgimento di Mosca nel conflitto siriano e alla sempre più intensa attività delle navi russe in transito dalla base mediterranea di Tartus. Un allarme inaspritosi con l'arrivo dei mercenari della Wagner nelle basi della Cirenaica controllate del generale Khalifa Haftar. In seguito a quegli sviluppi il vertice Nato del luglio 2016 a Varsavia decise di dar vita a «Sea Guardian» aggiornando gli obbiettivi di «Active Endeavour», la missione avviata dopo l'11 settembre per contrastare eventuali infiltrazioni terroristiche nel Mediterraneo. E tra gli obbiettivi di «Sea Guardian» vennero inseriti - oltre alla collaborazione con Sophia, la missione navale europea conclusasi nel 2020 - anche il coordinamento con la nostra Guardia Costiera e con Irini, la missione europea Ue succeduta a Sophia.
Detto questo resta da capire se la Nato e «Sea Guardian» siano in grado non solo di attivarsi, ma anche di rispondere a una minaccia asimmetrica come la messa in mare di migliaia di migranti. Il primo passo per l'attivazione è una richiesta del nostro governo - probabilmente già formalizzata dopo il Consiglio di Difesa del 17 gennaio - al Consiglio Atlantico, l'organo decisionale della Nato con sede a Bruxelles. Spetta al Consiglio Atlantico richiedere al Comando Alleato di Northwood le operazioni adeguate per reagire ad un eventuale «guerra dei migranti». La risposta non sarebbe, comunque, né facile, né agevole. Qualsiasi operazione in Libia richiederebbe - in termini di legittimità internazionale - un via libera del Consiglio di Sicurezza dell'Onu o, in alternativa, del governo libico. Il via libera del Palazzo di Vetro si scontrerebbe, però, con il veto russo.
E quello delle autorità libiche - legate ad Ankara sul fronte di Tripoli e alla stessa Mosca su quello cirenaico - risulterebbe altrettanto aleatorio. Ma un improbabile coinvolgimento della Nato in missioni di soccorso potrebbe rivelarsi addirittura contro-producente visto che i migranti raccolti in mare verrebbero, alla fine, sbarcati in Italia.
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