Il governo è alla paralisi totale "L'Italia rischia la credibilità"

Venti di crisi sul Mes, Recovery fund all'anno zero, tavolo delle riforme fermo: "Se si esagera si va al voto"

Il governo è alla paralisi totale "L'Italia rischia la credibilità"

L'altro ieri, a metà del corridoio di Montecitorio, proprio davanti all'ufficio postale, Graziano Delrio, capogruppo del Pd, patriarca di una famiglia record con 9 figli, commentava con l'ex deputato, Guido Crosetto, le norme sul Natale che il premier Conte si apprestava a decidere dopo poche ore, a cominciare da quella che impedisce di lasciare i comuni di residenza il 24 e il 25 dicembre, o, ancora, le raccomandazioni sul numero di persone per il cenone della vigilia. «Ma io come faccio ha chiesto al suo interlocutore - con tutti i figli che ho? Oltre ai figli ci sono anche i nipoti. Eppoi ne ho uno a Roma e un altro a Milano. Questa mattina mia moglie mi ha telefonato per dirmi: Se non mi fate passare il Santo Natale con i miei figli, non vi voto più!». Dopo il discorso a reti unificate di Giuseppe Conte sul nuovo Dpcm che ha trasformato le «voci» della vigilia in legge, Delrio tratteneva a malapena il malcontento. Anche perché il discorso del Premier questa volta ha mandato su tutte le furie l'opposizione, che ha bloccato il Parlamento, e fatto arrabbiare metà della sua maggioranza.

Un fritto misto di parole risentite per questioni personali messe in piazza da alcuni quotidiani e di espressioni di soddisfazione per l'azione del governo contro il virus, il giorno in cui il numero dei morti ha segnato il record dell'intera pandemia: pronunciate con un tono che voleva ricordare quello del presidente Scalfaro, come si legge nel libro «Parlamento sotterraneo» di Mario Nanni, quando, attaccato da ogni dove, pronunciò la frase cult: «Non ci sto!». Ma per citare una frase azzeccata di Karl Marx: «La Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa».

E ora, anche se il momento è drammatico, siamo davvero arrivati alla farsa: la politica è diventata una palude, un magma di contraddizioni e paradossi, che inghiotte e paralizza ogni cosa. Siamo il terzo Paese come tasso di mortalità-covid dietro a Messico e Perù e, dopo essere arrivato impreparato alla seconda ondata, il Governo non trova di meglio di mettere sulle spalle dei cittadini ogni responsabilità. Sul Recovery Fund siamo all'anno zero e si profila l'ennesima struttura mastodontica nei numeri quanto inefficace nei fatti. Sulla riforma del Mes la maggioranza è spaccata tra i grillini che dicono «no» e tutti gli altri, o quasi, che dicono «sì». Sulle riforme istituzionali non ne parliamo: il confronto tra «i giallorossi» fa un passo avanti e due indietro. Peggio di così.

Un'impasse che nella maggioranza nessuno nasconde. Tra i renziani si sprecano le ironie sull'ultima performance di Conte. «Non ha detto niente», osserva Lucia Annibali. «Il nulla è il sarcasmo di Michele Anzaldi in un discorso letto in Tv». E anche il Pd si ribella all'idea di essere inghiottito dalla palude, a partire dalla riforma del Mes. «C'è un momento di stallo si infervora Andrea Marcucci e ci vuole un salto di qualità».

Già, siamo allo stallo. Ogni sortita è bilanciata da un'altra. Ogni minaccia è rintuzzata da un'altra con il Premier nel bel mezzo, fermo. Due giorni fa Dario Franceschini, capo della delegazione del Pd, che non vuole né rimpasto, né crisi, ha calibrato l'arma che governa la legislatura, che imbriglia l'intera maggioranza: «Se si esagera è l'input che ha dato ai fedelissimi si va dritti alle elezioni». Uno scout mandato in avanscoperta perché ieri, puntuale, lo strumento di «persuasione» è stato usato dal solo che potrebbe premere il bottone. Per drammatizzare la situazione, dare una mano a Conte e mettere in ambasce i grillini, è arrivato, infatti, il messaggio subliminale del Quirinale a tutti i giornali: «se cade il governo si va a votare». Parola del Papa del Quirinale, Mattarella, a cui però questa volta ha risposto l'anti-Papa del movimento, Beppe Grillo in tre punti eretici abbastanza per fare, soprattutto, confusione: «no» alle risorse del Mes per la sanità, i soldi si trovano facendo pagare l'Imu e l'Ici alla Chiesa e mettendo in campo una patrimoniale.

Naturalmente la scomunica, pardon, la minaccia di Mattarella ha dato fiato a ministri e parlamentari del Pd. «Il governo va avanti ha rimarcato il ministro Francesco Boccia finché ci sarà una maggioranza con una visione comune». «La riforma del Mes ha fatto presente Delrio è un punto non eludibile, ne va della credibilità del Paese». In più «l'arma» ha sedato le voglie di crisi o di rimpasto dei renziani, costretti a fare buon viso e cattivo gioco. «Per fare un rimpasto o una crisi chiosa Cosimo Ferri ci vuole coraggio, non so se Renzi ce l'abbia». Specie è il non detto - se dovesse vedersela con Mattarella.

Proprio così, nel magma e nella palude impera il «non detto». Ad esempio, se si legge l'omelia dell'anti-Papa Grillo si arguisce che a lui poco importa della riforma del Mes, l'importante è che non si prenda in tutte le sue forme. Per cui chissene della riforma. Come pure i grillini ormai per lo più sono educati al pragmatismo. Specie i governativi. Magari una puntura di spillo a Mattarella la danno, ma sono pronti a venire a più miti consigli. «La sovranità è del Parlamento» è il ragionamento di Cristian Romaniello, uno dei firmatari della lettera del «no» al Mes: «Detto questo se la riforma è accompagnata da un pacchetto, a cominciare dall'assicurazione comune sui depositi (Edis), la cosa cambia».

Sono i primi effetti dellarma di «persuasione» del Quirinale. Non per nulla all'opposizione le minacce del Colle non sono piaciute. «Quel messaggio in codice è stata l'analisi di Giorgia Meloni nel cortile di Montecitorio alla fine è solo un puntello a Conte. Non se ne può più. Ha stufato pure questo Presidente». «La solita testa di cavallo ha rilanciato il leghista Claudio Borghi -: lui può anche essere convinto che la riforma del Mes vada approvata, ma non può impedire al Parlamento di esprimersi liberamente». Sentenza del leghista Claudio Durigon: «È un Paese di pupazzi». Ma in fondo è quello che capita quando lo scontro diventa cruento. E questa volta, almeno in apparenza lo è.

Basti guardare a quello che avviene in Forza Italia. Berlusconi, per difendere la sua svolta contro la riforma del Mes, è arrivato a dire ai parlamentari in dissenso che gli hanno telefonato in questi giorni: «Se non mi date retta io mi dimetto. Ormai la decisione è presa. Non posso perdere la faccia». Resta da vedere da cosa si debba dimettere il Cav in un partito organizzato come Forza Italia.

Come resta da capire cosa scaturirà da uno scontro, quello del voto sulla riforma del 9 dicembre, che finirà con un nulla di fatto, che lascerà come al solito l'amaro in bocca a molti, creando le premesse per un altro scontro. Magari a gennaio. Nella consapevolezza che nel «magma» nulla cambia, solo il Paese marcisce.

«È un momento strano osserva la deputata piddina Debora Seracchiani - e la gente nel Palazzo non è normale. Hanno introiettato il Covid nei loro comportamenti». Ormai la principale chiave di lettura della politica è la psichiatria.

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