Gozzini, il docente di odio già cacciato per insulti

Lo storico dell'Ateneo di Siena rischia il posto. Il padre Mario riformò le carceri da senatore

Gozzini, il docente di odio già cacciato per insulti

E pensare che di mestiere insegna storia, e qualche familiarità con la faccenda che historia magistra vitae dovrebbe averlo. Invece no. Perché Giovanni Gozzini il vizio di straparlare in onda lo ha da un pezzo, e già una volta gli è costato il posto. Esattamente quanto potrebbe (forse, molto forse) accadergli adesso per avere dato della vacca, della scrofa e della pesciaiola a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, nell'intervista alla emittente Controradio. «La mia testa è a disposizione del rettore», fa sapere ieri il contritissimo Gozzini nella speranza di cavarsela. Il rettore Francesco Frati per adesso non cala la mannaia, annuncia la convocazione del consiglio disciplina, invita a valutare serenamente, infine si barcamena, perché se è vero che «il primo sentimento è stato quello dell'indignazione», è anche vero che «Gozzini è un professore di un certo livello». Insomma si vedrà, e anche i prof del dipartimento di Storia che si dissociano in blocco dall'autorevole collega si guardano bene dall'invocare sanzioni esemplari.

L'altra volta a Gozzini era andata meno bene. Anche lì c'era di mezzo Controradio, era il 2008, lui era assessore alla Cultura a Firenze, si parlava del progetto per il nuovo stadio: Gozzini propose che i Della Valle «col progetto facessero un rotolino e se lo ficcassero su per la tromba del cosiddetto». Il sindaco Dominici la prese male, e prima di cena Gozzini non era più assessore.

Non gli è bastata. Per spiegare l'uomo d'altronde basta il comunicato dell'altro ieri, quando prima di offrire la testa al rettore minimizza le cose orrende dette della Meloni, «chi segue la trasmissione sa che abbiamo questo tono poco formale ma sempre sullo scherzoso e quindi capita di eccedere». Suvvia, si celiava. Al punto che viene da chiedere come sia accaduto che uno così faccia l'ordinario di storia e non il redattore del Vernacoliere.

Una spiegazione viene in parte dall'albero genealogico. Perché Gozzini - riprova vivente che «le famiglie importanti sono come le patate, la parte migliore sta sempre sotto terra» - è il figlio di quel riformatore illuminato che fu Mario Gozzini, l'autore della riforma carceraria. Gozzini senior fu però anche politico di spicco, cattolico fervente e tre volte senatore comunista, e il figlio ha avuto l'agio di seguirne le orme. La matrice è sempre quella, a cavallo tra il Vangelo e Peppone, e Gozzini junior non fa niente per nasconderla, si dichiara «cristiano credente e praticante» e intanto partecipa alle cene per finanziare il restauro del teatro livornese dove nacque il Pci, «luogo che non può e non deve andare perduto». E così via, tra prefazioni ai libri di Woityla e commossi amarcord della svolta della Bolognina.

Il dettaglio divertente è che il ciclo di lezioni di Gozzini per il corrente anno accademico è inserito nel corso di laurea in «diplomazia pubblica culturale», nome un po' aulico dietro il quale si intuisce se non altro l'insegnamento di un certo rispetto per le idee altrui. Invece accade che la mattina, prima di andare a lezione, Gozzini si colleghi con la radio e dia della scrofa a una signora rea di pensarla diversamente. Come è possibile? Una sua spiegazione ebbe a darla a suo tempo Vittorio Sgarbi, che a Firenze aveva organizzato una mostra sui rapporti tra arte e omosessualità dal geniale titolo Vade Retro. L'allora assessore Gozzini si mise di traverso, negò il patrocinio alla mostra, accusò l'esposizione di «arretratezza».

Ne nacque un mezzo putiferio chiuso lapidariamente da Sgarbi: «Gozzini è una zucca vuota».

(Nelle reazioni indignate di ieri alle frasi di Gozzini, standing ovation per Bernardo Salvo, uno dei pescatori rapiti in Libia: «Meloni pesciaiola? Noi siamo fieri del mestiere che facciamo»)

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