La Commissione europea sposta al maggio del 2018 la lettera con cui chiederà all'Italia una manovra correttiva di 0,2 punti di Pil, pari a 3,5 miliardi per modificare la nostra legge di bilancio, sostenendo che lo fa per non interferire nelle prossime elezioni. Ma è vero il contrario. Infatti il governo e il Pd sostengono che la correzione non è necessaria: sicché possono dare le mance elettorali, spostando l'onore su chi verrà, che sarà doppio. Infatti la correzione a metà anno comporta di aumentare le imposte o tagliare le spese solo per sei mesi. Così, la manovra costerà 7 miliardi. Inoltre, poiché a metà anno gran parte delle spese di esercizio sono già fissate, la manovra dovrà consistere soprattutto di aumenti di imposte - cioè le accise e l'Iva nelle aliquote ridotte, di cui alle clausole di salvaguardia inserite nel bilancio - e di rinvio di spese di investimento. Inoltre per i sei mesi prima della manovra correttiva i contribuenti rimarranno nell'incertezza, insieme agli operatori economici interessati agli investimenti pubblici. E la riduzione di 0,2 punti di deficit diventati 0, 4 può produrre effetti controproducenti sul Pil. Per di più, ci sarà incertezza nel mercato del nostro debito pubblico e ciò potrà creare un aumento del suo costo per il governo che, già nel 2017, per gli interessi sul debito spende 18 miliardi in più che nel 2016, ossia lo 1,1% del Pil in più, che si traduce in un 2,2% di spesa pubblica in più, essendo questa il 47-48% del Pil.
Dunque la Commissione europea, con l'assist al governo e al Pd crea un danno per la finanza pubblica e l'economia italiana e interferisce nella nostra democrazia. Si ripete su un altro palcoscenico, quello del potere esecutivo, lo spettacolo che ha luogo sul palcoscenico del potere giudiziario, quello della Corte dei diritti umani di Strasburgo, con riguardo alla agibilità politica di Silvio Berlusconi, che ha importanza nella contesa elettorale. La controversia fra il nostro governo e la Commissione europea sullo 0,2 di Pil nel deficit è un po' come una conversazione fra sordi da un orecchio, che si mettono - più o meno involontariamente - dalla parte sbagliata. Il nostro governo sostiene che la correzione di 0,2 non è necessaria, in base alle regole sul deficit corretto per tenere conto della capacità contributiva non utilizzata, mentre la Commissione europea che la calcola in altri modi, aggiunge che abbiamo un debito pubblico eccessivo e non lo riduciamo abbastanza: e ciò comporta una infrazione alla regola sulla «riduzione adeguata» del debito, a prescindere dal deficit.
Che cosa sia la «riduzione adeguata» è discutibile. Ma la sostenibilità del nostro debito pubblico che supera il 130% del Pil non dipende da regole o aggettivi, dipende dal mercato. Il nostro debito estero è un terzo del nostro a medio e lungo termine sul mercato, sicché lo 0,2 di Pil per tre anni, cioè lo 0,6 di Pil si traduce in un 1,8 per il debito/Pil che va sul mercato internazionale. Un totale rilevante in sé e come segnale.
Il Pd e i suoi governi si son già presi troppo tempo e, ora, ne vogliono altro. La commedia della non interferenza elettorale far loro e i commissari di Bruxelles non giova all'Europa, costa alla nostra economia e democrazia. Sarebbe bene che su tutto questo si facesse calare il sipario.
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