Da "Guerra e pace" fino alla guerra di Putin. Fenomenologia della spia, secondo Tolstoj

Una figura sempre drammatica, che risponde al suo popolo e ai politici

Da "Guerra e pace" fino alla guerra di Putin. Fenomenologia della spia, secondo Tolstoj

Non c'è spia che non venga spiata. La spia viene spiata in quanto sa ciò che (quasi) nessuno deve sapere, e, sapendo questo, può tradire. La spia è come una vedetta che sale in cima all'albero più alto della nave, ma di nascosto. Da lassù vede meglio e più lontano del resto dell'equipaggio, eppure può scegliere di non dire agli altri ciò che ha visto, oppure di descrivere loro uno scenario falso. Soltanto allora, comincia il suo percorso di traditore. Un traditore che, se fallisce, se la deve poi vedere con due giudici: il suo popolo e chi il suo popolo lo amministra, cioè il politico.

L'eliminazione di Denis Kireyev, accusato di tradire l'Ucraina ed eliminato in mezzo a una strada, ha qualcosa di cinematografico, nei tempi e nella forma, di teatralmente scespiriano, nelle zone d'ombra. Anzi, visto che di Russia si tratta, diciamo pure di tolstojano. La nuova edizione di Guerra e pace che stiamo leggendo in questi giorni, in fondo non è molto diversa dalla prima, uscita più di un secolo e mezzo fa. Anche se allora c'era la Russia nel ruolo dell'Ucraina, a maledire il Napoleone-Putin e chi a lui si vendeva, o si sospettava si fosse venduto... L'amministratore di Mosca era il conte Rastòpcin, e a Mosca c'era un tale Vereèagin, accusato di aver diffuso il proclama di Napoleone.

Scrive Tolstoj: «Dov'è? disse (Rastòpcin, ndr) e, mentre lo diceva vide spuntare da dietro l'angolo, in mezzo a due dragoni, un giovane con un lungo collo esile e con la testa rasata a metà, ma che già si ricopriva di capelli. Il giovane indossava un logoro pellicciotto di volpe, rivestito di panno turchino (che un tempo doveva essere assai elegante) e sudici calzoni da carcerato, infilati dentro a stivaloni sporchi e scalcagnati. Alle sue esili, deboli gambe, pendevano pesanti catene che gli impacciavano i passi indecisi».

E, una pagina dopo: «Costui ha tradito il suo zar e la patria, si è consegnato a Bonaparte, è stato l'unico fra tutti i russi a disonorare il nome di russo e ora Mosca va in rovina per colpa sua disse Rastòpcin con voce monotona e stridula; ma qui, improvvisamente, diede una rapida occhiata in giù, a Vereèagin, che restava immobile in quel suo atteggiamento di sottomissione. Come se quella vista lo esasperasse, alzò il braccio e quasi si mise a urlare, rivolgendosi alla folla: Pensate voi a far giustizia, ve lo consegno!».

Ed ecco che un giudice si appella all'altro giudice per fargli emettere la sentenza e fargli comminare la pena. Invece gli ucraini di oggi, cioè i russi di allora, non sono stati chiamati in causa, sono stati spettatori. In Guerra e pace, dopo che la folla ha fatto strame di Vereèagin, Rastòpcin si allontana in carrozza.

E medita: «Da quando esiste il mondo e gli uomini si uccidono l'un l'altro, non c'è uomo che non abbia commesso un delitto su un suo simile senza tranquillizzarsi con questo pensiero. Che è, appunto, le bien publique, il supposto bene del resto degli uomini».

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