Alla guida del Paese l'uomo che nel 2017 mandò il figlio a morire da martire

Solo vicepremier il "moderato" Baradar. Nominato leader il più affidabile Hassan

Alla guida del Paese l'uomo che nel 2017 mandò il figlio a morire da martire

La mattina spari a raffica su dimostranti e giornalisti, la sera la presentazione di un governo che sembra scritto dal Mullah Omar redivivo. La favola dell'esecutivo «inclusivo», così caro alle anime belle occidentali, è già naufragato. Nel governo, presentato ieri sera dal già designato ministro dell'Informazione Zabihullah Mujahid, la nostalgia e lo zelo conservatore sembrano tener banco.

Agli occhi di Hibatullah Akhundzada, il «leader supremo» che tutto decide e impone, persino il Mullah Abdul Ghani Baradar, già responsabile del negoziato per il ritiro degli americani, deve esser sembrato troppo moderato. O troppo vicino agli «infedeli». E così l'uomo su cui tutti in Occidente scommettevano come sicuro premier di un governo «inclusivo» si ritrova a fare il vice premier. Sopra di lui c'è il molto più affidabile Mullah Mohammad Hassan Akhund. Ai tempi del primo emirato guidava il ministero degli Esteri prima di venir promosso a vice premier. Ma più del suo passato conta il suo presente. Negli ultimi vent'anni sia Akhund, sia il supremo leader Hakunzada - a cui viene attribuita la nomina - non hanno mai esibito né resipiscenza, né moderazione. Il «supremo leader» nel 2017 ha incoraggiato il figlio 23enne a morire da martire in un attentato suicida. Akhund ha governato i vertici quella «shura» di Quetta da cui sono dipese le attività del movimento dopo la sconfitta del 2001. E non a caso le Nazioni Unite l'hanno inserito in una lista che comprende i nomi dei capi talebani responsabili di connivenza con il terrorismo. Ma Quetta, la città dove per anni Akhund ha esercitato la sua autorità, è anche il simbolo di quella fazione dei talebani più legata ai settori deviati dei servizi segreti pakistani. Settori che non a caso arrestarono Baradar e lo liberarono soltanto nel 2018 quando gli americani ne pretesero il rilascio per trasformarlo in negoziatore del proprio ritiro. Ora però l'utilità dell'uomo che il Mullah Omar chiamava «Baradar», ovvero «fratello», e con cui fondò il movimento degli «studenti», sembra tramontata. E a confermarlo contribuisce la presenza di altri due nomi simbolo della vocazione talebana all'ortodossia e al fondamentalismo. Il primo è quello di Mawlawi Muhammad Yaqoob il figlio primogenito del Mullah Omar, nominato responsabile della Difesa. Di lui si sa poco. Anche perché non si è mai mostrato in pubblico e non ha mai diffuso una propria foto. Le poche informazioni lo danno molto vicino - al pari del premier Akhund - a quei servizi segreti pakistani che ne avrebbero coltivato lo zelo e il fervore religioso affidandolo agli insegnamenti dei migliori interpreti dell'integralismo sunnita. Ma il nome che dovrebbe far saltare sulla sedia chi è ancora convinto di poter dialogare con i nuovi signori dell'Emirato è quello del ministro degli Interni Sirajuddin Haqqani. Figlio di Jalaluddin Haqqani, storico comandante dei mujhaeddin anti sovietici trasformatosi in fedele alleato di Bin Laden. Sirajuddin ha ereditato dal padre la guida di un'organizzazione che rappresenta una via di mezzo tra un gruppo terrorista e un clan mafioso. Oltre a governare le aree tribali a cavallo tra il Pakistan e l'Afghanistan, controllandone traffici e commerci, gli Haqqani hanno messo a segno i più micidiali attentati contro la coalizione della Nato e i suoi alleati a Kabul. Compreso, sembra, quello costato la vita nel 2009 a sei paracadutisti della Folgore. Insomma è come se in Italia consegnassimo il Viminale ad un erede di Riina. Un nome che dovrebbe far riflettere anche gli illusi a 5 Stelle pronti a regalare aiuti umanitari ad un Emirato che affida la sicurezza e l'ordine interno all'esponente di un'organizzazione malavitosa.

Ma detto questo c'è poco da stupirsi. Al contrario degli ipocriti occidentali pronti a fingere - nel nome del dialogo - di non vedere le vere matrici dell'Emirato i talebani ci offrono, anche stavolta, la loro unica, autentica immagine.

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