Ha gestito la crisi sanitaria. La partita più dura arriva ora

Draghi vola nei consensi, premiato dalla campagna vaccinale. Adesso si giocherà tutto su Pnrr e ripresa

Ha gestito la crisi sanitaria. La partita più dura arriva ora

Un anno esatto di Draghi a Palazzo Chigi. I sondaggi dicono che il consenso per l'ex presidente della Bce resta ancora alto, al 60% secondo YouTrend, al 53% per Demopolis. Un ottimo piazzamento se si considerano le fugaci parabole di altri premier tecnici suoi predecessori, come Mario Monti, salutato come il salvatore della Patria al suo insediamento ma già impopolare (per non dire detestato) dopo appena sei mesi di governo. Nel caso di Draghi l'opinione pubblica - raccontano sempre le rilevazioni- considera a buon punto il primo obiettivo che si era dato (e che Mattarella gli aveva assegnato chiamandolo per la mission impossible di fare un governo con quasi tutti dentro, da Leu alla Lega), cioè l'uscita dall'incubo Covid. La data formale è il prossimo 31 marzo, con la fine dello stato di emergenza, ma se l'accelerazione sul super green pass non è stata condivisa da molti italiani, rispetto al caos della gestione Conte-Arcuri (tra mascherine introvabili, ritardi negli approvvigionamenti, lockdown devastanti, banchi a rotelle e scuole chiuse), è indubbio che la campagna vaccinale sotto il governo Draghi - con l'88% di vaccinati - abbia avuto successo. Non a caso una delle primissime decisioni prese dal premier è stata quella di silurare Arcuri e affidare il coordinamento dell'emergenza Covid a un militare, il generale Figliuolo. Insieme a quella di mettersi in prima linea per convincere gli italiani a vaccinarsi, anche in maniera cruda («L'appello a non vaccinarsi è l'appello a morire» disse in una conferenza stampa). La linea inflessibile sui vaccini gli è costata qualche turbolenza nella maggioranza, specie in area Lega, ma alla fine senza nessuno strappo. Non è quello sanitario il fronte più complicato con cui Draghi deve misurarsi, ma quello economico.

L'altro obiettivo del suo governo, la ripartenza del Paese con il Pnrr, il Piano Nazionale di ripresa e resilienza, è ancora tutto sulla carta. L'Europa vede in lui una garanzia per l'impiego fruttuoso dei 220 miliardi messi a disposizione per finanziare progetti ben definiti in una vasto ventaglio di settori, dalle infrastrutture alla sanità. Progetti, però, ancora in fase embrionale. La credibilità del suo esecutivo è legata soprattutto all'autorevolezza del personaggio Draghi, più che alle cose fatte. La riforma della giustizia affronta solo in minima parte i problemi emersi dagli scandali della magistratura italiana e del suo organo di autogoverno, il Csm dilaniato dalle correnti. Il governo Draghi in un anno non ha aumentato le tasse («In questo momento i soldi si danno e non si prendono» altra sua frase), e in Italia è già qualcosa. Ma nell'aria c'è una riforma del catasto che potrebbe gettare le basi per una futura mazzata sugli immobili, mentre la riforma fiscale ha sì ridotto le aliquote della classe media, ma il risparmio fiscale sarà più simbolico che altro. Con l'assegno unico per i figli, alla fine, molti genitori ci rimetteranno rispetto alle vecchie detrazioni. Mentre sul reddito di cittadinanza, inutile e dannoso, Draghi ha dovuto pagare dazio al partito di maggioranza relativa, il M5s, e confermarlo.

Nel frattempo, mentre al timone c'è forse l'italiano vivente più autorevole in campo economico, proprio in quel campo le cose si mettono male. Lo spread, che avevamo dimenticato, ha rialzato la testa. L'inflazione è schizzata a livelli preoccupanti. Il Pil a +6,5% va letto rispetto al crollo mai visto del 2020, quindi molto meno esaltante. Ma sopratutto il rincaro dell'energia e l'aumento enorme delle bollette dell'elettricità e gas stanno diventato un macigno che zavorra la ripresa economica. Le aziende sono in difficoltà, lo stanziamento annunciato fino a 7 miliardi è una soluzione temporanea, servono misure strutturali che però ancora non si vedono. Il governo d'emergenza nazionale rischia di trovarsi di fronte ad un'altra emergenza, quella economica.

In un anno SuperMario è un po' meno super di prima. Ma lo standing del premier rimane elevato, il suo credito internazionale altrettanto. L'Economist ha incoronato l'Italia di Draghi come «il Paese dell'anno», le cancellerie sono rassicurate dalla sua presenza al timone dell'Italia. Tanto che da Bruxelles hanno fatto pressioni perché rimanesse a Palazzo Chigi e non traslocasse al Quirinale.

Un traguardo a cui il premier non ha nascosto di ambire, contribuendo non poco a complicare la già complicata trattativa dei partiti. Con loro, Draghi intende mantenere il rapporto schietto fin qui tenuto: comanda lui. Non vuole certo farsi logorare nell'anno di campagna elettorale prima del 2023, scadenza naturale della legislatura.

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