Dimenticate il grillismo trash e ruspante, le botte ai poliziotti alle manifestazioni No Tav, la pancia prominente di Beppe Grillo in costume da bagno che attraversa a nuoto lo stretto di Messina come sfida narcisistica a una casta polverosa e sedentaria. Il nuovo grillismo iconico è l'elegante cappotto scuro di Roberto Fico che, impettito, viene accolto al Quirinale tra battiti di tacchi, sciabole e saluti militari. La trasformazione di M5s da movimento antisistema a forza di Palazzo appare un processo irreversibile in cui il 32,68% dei voti ottenuti alle elezioni politiche del 2018 costituisce un serbatoio inesauribile di potere. Nonostante le continue flessioni in tutte le successive tornate elettorale, i grillini si avviano ad entrare per la terza volta nel governo del Paese in due anni e mezzo. Ma c'è di più. Qualsiasi combinazione politica che si sta profilando all'orizzonte contempla immancabilmente la presenza ministeriale di Cinque Stelle. Governo Conte ter: M5s presente per continuità. Governo politico: M5s presente come primo gruppo parlamentare. Governo istituzionale: M5s presente per aiutare come tutti l'Italia. Appare quasi incredibile come nell'attuale sistema politico, incancrenito su un Senato delegittimato e senza maggioranza naturale, il movimento fondato da Grillo e Casaleggio possa costituire il fulcro di ogni soluzione politica (elezioni anticipate escluse).
Tra le tante fanfaronate espresse in questi anni, Grillo una volta si lasciò andare a un ragionamento suggestivo: concepiva la sua creatura come una perenne forza di opposizione attorno al 30%, come il vecchio Pci, capace di condizionare la politica fuori da Palazzo Chigi. L'utopia si è infranta con una spregiudicata presa del potere, fondata su due alleanze consecutive di segno opposto nel segno di Giuseppe Conte, prima con la Lega di Salvini e dopo con il Pd di Zingaretti.
La parola «opposizione» è sparita dal vocabolario dei ministri e dei parlamentari grillini. Si parla di «crisi assurda», di massimo sostegno al premier Conte, ma non di tornare al voto o di tirarsi da parte. Di Maio, Fico e Casaleggio jr sono del tutto estranei al mondo della defunta Dc, ma hanno cominciato ad imitarla al netto delle sceneggiate di Di Battista che si è riservato nel cast la parte dell'ultimo «duro e puro» che sa rinunciare alle lusinghe del Palazzo. L'involontario richiamo alla Democrazia cristiana si è ridotto alla scopiazzatura della marmorea centralità di un partito cattolico che per 47 anni non si è schiodato dal governo del Paese. Finché lo scudocrociato non esplose con Tangentopoli, non andò mai all'opposizione: governò da solo e spesso contro se stesso, con i partiti laici, con i socialisti, persino con l'appoggio del Pci. Il perno di un sistema solare fatto di partiti-astri che gli ruotavano intorno.
Per M5s evocare l'opposizione, a questo punto, coinciderebbe soltanto
con una sconfitta elettorale ad opera del centrodestra che lo relegherebbe in minoranza. Andarci spontaneamente non sembra più all'ordine del giorno. Meglio stringersi sotto il morbido paltò del presidente-esploratore Fico.
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