"Il sonno, me lo toglie la crisi non certo i dissensi nel Pd". Matteo Renzi tira dritto, è deciso a non lasciarsi affondare dalle polemiche interne al partito e alle barricate oltranziste dei sindacati. Si va avanti col Jobs Act che non cambierà nemmeno alla Camera. L'obiettivo del governo è assicurare, in tempi rapidi, il varo definitivo della riforma del lavoro perché possa essere in vigore dal primo gennaio. Non lo preoccupano i ribelli piddì, come Pippo Civati, che non voteranno la fiducia. "Se lo fanno per ragioni identitarie, facciano pure - spiega nel nuovo libro di Bruno Vespa - se mettono in pericolo la stabilità del governo o lo fanno cadere, le cose naturalmente cambiano".
Si proseguirà insomma sulla via tracciata, così come sugli altri "dossier" aperti dal governo, ai quali il leader del Pd è al lavoro nella sua casa di Pontassieve: dalla delega fiscale alla pubblica amministrazione, dalla riforma del Senato alla legge elettorale. Ma su tutti questi fronti annuncia battaglia la minoranza del Pd, che già prepara gli emendamenti a delega Lavoro e legge di Stabilità. E chiede di "recuperare in manovra almeno 1,5 miliadi di euro per i nuovi ammortizzatori sociali". Ma il premier fa spallucce e tira dritto. Se poi perderà dei pezzi strada facendo, se ne farà una ragione. "Se qualcuno dei nostri vuole andare con la sinistra radicale che ha attraversato gli ultimi vent’anni, in nome della purezza delle origini, faccia pure: non mi interessa. È un progetto identitario fine a se stesso e certo non destinato a cambiare l’Italia. Lo rispetto, ma non mi toglie il sonno". D'altra parte, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha concordato a Bruxelles che dal primo gennaio entreranno in vigore la riforma del Lavoro e le modifiche all’articolo 18. E su quella data non si intende transigere. Per questo Renzi non sarebbe disposto ad accettare meline in parlamento e tentativi di frenare i tempi del Jobs Act alla Camera, dove la minoranza dem è presente in forze nella commissione guidata da Cesare Damiano.
La partita entrerà probabilmente nel vivo alla metà di novembre. Dopo il G20 in Australia, il 15-16 novembre, Renzi potrebbe convocare una nuova direzione del partito. Le voci di una possibile scissione si sono assopite. Ma non del tutto. "Se si arrivasse a una scissione - spiega il premier - la nostra gente sarebbe la prima a chiedere: che state facendo?". Nell'ultimo libro di Bruno Vespa Italiani voltagabbana. Dalla prima guerra mondiale alla prima repubblica sempre sul carro del vincitore, il premier si dimostra piuttosto sicuro del fatto che il Pd non arriverà (almeno non nell'immediato) a un punto di rottura irrimediabile. E, in ogni caso, dice di preferire di "perdere qualche parlamentare che qualche voto". "La modifica dell’articolo 18 - fa notare - preoccupa più qualche dirigente e qualche parlamentare che la nostra base". Toni duri che non piaceranno alla sinistra dem. E tanto meno faranno piacere ai sindacati. Ma anche a loro il premier è disposto a dare davvero poco peso. "Non è una questione di feeling personale, ci mancherebbe...", mette in chiaro. Ma rispetto alla leader della Cgil Susanna Camusso una visione diversa del Paese, della sua modernizzazione, del ruolo di governo e della rappresentanza civile. Di tutto, insomma.
Questi i buoni propositi. La prossima settimana Renzi rilancerà anche il tema scuola, mentre si sta per chiudere la consultazione avviata a settembre. E poi ci sono riforme e legge elettorale.
Martedì sera il ministro Maria Elena Boschi dovrebbe riunire i deputati dem membri della I commissione della Camera per iniziare a discutere degli spazi di modifica alla riforma del Senato: l’intenzione è portarla in Aula entro la fine di novembre. La strada è tutta in salita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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