La grande festa di Simferopol inizia ben prima che Vladimir Putin apra bocca. Ben prima che i soldati calchino i vialoni alberati. Ben prima che il ruggito dei blindati faccia tremare case e palazzi. Inizia nelle strade, nelle piazze, nei parchi. Lì frotte di uomini, donne e bimbi dimenticano la guerra che divampa oltre confine per immergersi in un carosello liberatorio capace di mescolare passato, presente e futuro. Il passato, mai scordato, è nei vestiti, nelle divise, nelle foto di nonni, zii e bisnonni.
Stefan, sei anni, imbraccia un kalashnikov di plastica e stringe orgoglioso la mano di papà. Mamma Marina gli raddrizza i capelli e intanto gli calca in testa la «pilotka», la bustina con stella rossa in stile sovietico recuperata nei cassetti dei ricordi. La mescolanza di presente e passato, di sacro e profano è ovunque. Le facciate dei palazzi governativi sono occupate da gigantesche «Z» marchio e simbolo dell«operazione speciale». Sui petti di tutti sono appuntati, invece, i gagliardetti con i colori neri e arancione della croce di San Giorgio, la decorazione riservata, in passato, ai soldati più valorosi dello Zar. Sulle torrette dei mezzi pronti a muovere sventolano le cosiddette bandiere «della vittoria». Bandiere rosse, con falce e martello, uguali a quella issata il 2 maggio 1945 sulle rovine del Reichstag di Berlino dai sergenti Aleksej Leont'evi Kovalëv e Isakovi Ismailov dell'8ª Armata della Guardia. Ma a far la parte del leone sono le foto color seppia dei soldati di allora. Decine di migliaia fra pronipoti ed eredi le tengono ben alte sulla testa, pronti a trasformarle in quella marcia degli «immortali» che qui, come a Mosca, chiude la parata. «Questo è mio nonno Viktor Alexievic, ha combattuto da Leningrado a Kaliningrad ed è stato ferito due volte, ma non si è mai fermato - racconta orgoglioso il 64enne Sergey. Poi si volta, richiama figli e nipoti incolonnati alle sue spalle e li richiama all'ordine -. Solo se seguirete il suo esempio sconfiggeremo i nuovi nazisti aiutati dalla Nato».
Da queste parti il pensiero della guerra non è però una grossa preoccupazione. Nelle parole e nei pensieri di chi affolla i viali Simferopoli leggi la certezza di una vittoria capace di avvicinare ancor di più la Crimea alla madre patria. «Nel 2014 - ricorda Eugeny Gorbuslsky, uno dei veterani della lotta per l'annessione alla Russia - siamo rimasti isolati, gli ucraini ci hanno tagliato persino l'acqua. Per restare in contatto con la Russia abbiamo dovuto attendere il ponte fatto costruire da Vladimir Putin. Ora la fine dell'isolamento è vicina. Una volta caduta definitivamente Mariupol potremo muoverci via terra e raggiungere le repubbliche del Donbass e la madrepatria Russia. Finalmente vediamo la luce in fondo al tunnel».
Una luce, capace di risvegliare anche economia e commerci. Così almeno spiega Anatoly Poviniez, responsabile di «Taurica» una Ong attiva sia in Crimea, sia nei territori del Donbass e di Kherson controllati dai russi. «Quando gli ucraini hanno bloccato i canali d'irrigazione l'agricoltura della Crimea è andata a rotoli. Ma oltre alle coltivazioni di grano e riso abbiamo dovuto rinunciare anche ai commerci con il Donbass e Kherson. Ora tutto questo sta per finire.
Malgrado quanto dicano Zelensky e la Nato la Crimea non tornerà mai più all'Ucraina. Quella era una stortura figlia degli errori dell'era sovietica. Proprio per questo indietro non si torna. Qui siamo tutti russi e il nostro futuro è solo con Mosca e il Donbass».
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