La procura di Genova sarebbe orientata a dare parere positivo alla richiesta di Giovanni Toti di incontrare gli esponenti politici della sua maggioranza tra cui Maurizio Lupi e il leghista Edoardo Rixi. Un incontro chiesto per discutere del suo «futuro politico», ma non di dimissioni. Per i pm i confronti andrebbero con ogni probabilità da fare in presenza e non in collegamento.
Ma mentre il governatore da 40 giorni è agli arresti domiciliari nella Regione si muovono manovre sotterranee. Non nella sua giunta, non la sua maggioranza politica, che si è stretta intorno al presidente. Ma tra alcuni esponenti della cosiddetta «tecnocrazia», i «burocrati» della Regione, che hanno preso distanze siderali dal presidente e dai suoi più stretti collaboratori nell'immediatezza degli arresti. Non solo con il suo staff messo in ferie forzate all'indomani del terremoto giudiziario che ha squassato il palazzo, ma anche con gesti simbolici come quello di togliere il nome di Toti dalla targhetta sulla porta del suo ufficio due giorni dopo i domiciliari. Ora si legge solo: Regione Liguria. «Che bisogno c'era di togliere il nome del governatore? Un gesto gratuito di cui non c'era alcuna necessità, visto che il presidente non si è dimesso ma è temporaneamente sospeso delle sue funzioni. È già stata emessa dagli uffici una sentenza di condanna», spiegano dal palazzo dietro anonimato. Per altro, da quel che si apprende, sono decisioni che arrivano da dirigenti apicali considerati fino al giorno prima della notizia dell'indagine vicinissimi al presidente. «Hanno costruito carriere grazie alla fiducia di Giovanni», si mormora. Insomma, un clima pesante. Gli esponenti dello staff si sentono trattati come soggetti «radioattivi». Pochi giorni dopo gli arresti, ecco una lettera firmata dal segretario generale Pietro Paolo Giampellegrini, disporre che «l'accesso agli uffici del presidente e della sua Segreteria siano consentiti esclusivamente allo scrivente e al direttore generale». Che «tutto il personale assunto nella segreteria particolare di Toti sia collocato in locali idonei», e che gli vengano «sospese temporaneamente le credenziali di accesso alla posta, all'agenda, e a ogni altro documento relativo all'attività del presidente».
Non è così nell'ala politica della giunta e della maggioranza, che hanno invece ribadito il totale e compatto sostegno al presidente. Il fedelissimo di Toti, l'assessore regionale Giacomo Giampedrone, l'unico che finora ha potuto incontrarlo con l'autorizzazione del giudice, ha ribadito che la Regione va avanti sulla linea dettata dal presidente che, tra l'altro, «spera di ritrovare il suo staff come l'ha lasciato», è la frecciata lanciata giorni fa: «Stiamo lavorando come e più di prima, in questi 40 giorni abbiamo concretizzato molte pratiche che avevamo portato avanti con lui - precisa l'assessore - È il nostro centravanti, le ipotesi di dimissioni non sono mai state sul tavolo». Quanto potete andare avanti senza il governatore? «Noi possiamo andare avanti sempre, il tema non è quanto possiamo andare avanti noi ma quanto Toti può restare ai domiciliari in queste condizioni. A me sembra che, con tutto il rispetto per le indagini, sia stato messo in discussione il ruolo politico di Giovanni Toti», dice Giampedrone.
Un chiaro riferimento alla decisione del gip di non revocare gli arresti domiciliari perché, se tornasse nel pieno delle sue funzioni, potrebbe reiterare il reato o inquinare le prove. Tradotto, senza dimissioni è difficile che possa tornare in libertà. Un bivio davanti a cui Toti non ha mai avuto dubbi. La strada non può essere rimettere il mandato. Ma alla sua richiesta di poter incontrare i leader dei partiti del centrodestra tra cui Lupi e Rixi, non è ancora arrivata la risposta del gip.
Monta invece la polemica sugli «attacchi del
governo alla magistratura». I consiglieri del Csm di Area, la corrente a sinistra delle toghe, insieme con quelli di Unicost, hanno chiesto l'apertura di una pratica a tutela del gip e dei pm titolari dell'indagine su Toti.
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