I primi 50 anni di Marina top manager dalla vita normale

Dalle sfide per la crescita di Fininvest e Mondadori alla battaglia con Vivendi. Ma la vita privata resta al riparo

I primi 50 anni di Marina top manager dalla vita normale

Qualche giorno fa ha preso posto sull'elicottero a fianco del padre. Silvio, ancora convalescente, voleva farle vedere i luoghi della sua infanzia e Marina l'ha accompagnato. Sono scesi ad Appiano Gentile, e da lì, come raccontato dalla Provincia di Como, hanno raggiunto Oltrona, dove i Berlusconi si rifugiarono negli anni cupi della guerra, fra il '42 e il '45. Lui faceva da cicerone, lei ascoltava e sorrideva, lui, in bilico fra battute e nostalgia spiegava: «Sono qui à la recherche du temps perdu», lei dev'essersi intenerita. E deve aver ripensato alle tante battaglie superate in questi anni: le tempeste societarie, i tormenti della politica, l'assedio della magistratura, da ultimo il cuore ballerino di Silvio.

Dicono - ed è un complimento - che con l'avvento di Marina la famiglia Berlusconi possa trasformarsi in una monarchia, perché Marina non è solo la figlia del Cavaliere, ma ci ha messo del suo e oggi, al traguardo dei 50 anni, si può tranquillamente scrivere una biografia emancipata della signora senza cadere nell'agiografia. Certo, la sua è una vita fuori dalla cartolina. Con una dimensione privata e familiare che bilancia quella pubblica e manageriale. Con un marito e due figli, con cui quando può gioca e fa i compiti, che compensano le riunioni, i consigli d'amministrazione, le presidenze di Fininvest e Mondadori. Soprattutto in questi anni Marina ha dimostrato una indiscussa capacità nel fendere i marosi della crisi che si erano abbattuti sulla Mondadori e sull'impero creato da Silvio.

L'altro ieri, in un'intervista al Sole24Ore, lei ha riassunto i principali capitoli del business di famiglia: «Mondadori è tornata all'utile e prevede risultati in significativa crescita nei prossimi anni, genera cassa, diciamo fra i 40 e i 50 milioni l'anno, con cui ha finanziato le sue acquisizioni, dai libri di Rizzoli al digitale di Banzai media». Sì, perché mentre i marchi gloriosi del made in Italy escono di scena, fagocitati dai colossi stranieri, Mondadori è sfuggita a questa regola e invece di essere ingoiata ha fatto shopping. Ma i tempi sono quelli che sono: incombe la querelle, pesantissima, con i francesi di Vivendi dopo che è sfumata il passaggio ai francesi di Mediaset Premium e si è appena definita la cessione del Milan, il gioiello del gruppo, finito in mani cinesi. Due vicende che nella sua visione, per niente emotiva, si legano; i 740 milioni incassati dalla vendita del Milan garantiranno le munizioni necessarie per sostenere il duello con Vivendi: «Dico solo che oggi ci sentiamo ancora più forti di prima nell'affrontare la sfida con Vivendi». Che non sarà una passeggiata, ma che ora può essere gestita con modalità diverse.

Forse è il compito ingrato delle seconde generazioni. Tagliare, a volte, quel che genitori di talento hanno inventato e sviluppato, in un mondo che pareva non conoscesse limiti e orizzonti. E invece negli ultimi tempi la realtà si è rovesciata. I conti si sono fatti più difficili per tutti e chiunque avesse fra le mani un timone ha avvertito sinistri scricchiolii.

I cinquant'anni sono solo una tappa e però contano qualcosa le classifiche delle varie riviste internazionali, a cominciare da Fortune, che collocano Marina fra le 20-30 manager più potenti d'Europa. Lei non ama le copertine e nemmeno le celebrazioni, semmai riconosce con molta onestà di aver avuto una partenza facile, anzi privilegiata: «Se gli altri salivano gradino per gradino, io ho preso l'ascensore».

Ma non per compiere un giro panoramico. Semplicemente lei si è messa a lavorare, lasciando che fosse il tempo a far emergere il suo spessore. Insomma, riconquistando quel che già aveva. E cercando di non farsi risucchiare dentro una sola dimensione. Ecco quella frase scandita più volte, a costo di rischiare il banale: «Ho la fortuna di avere il marito e i figli che ho». Un tesoro non monetizzabile, ma non da poco in un mondo in cui gli affetti si sgretolano al primo scossone. Poi il rapporto con il padre, strettissimo, come tutti hanno potuto vedere nei giorni critici del San Raffaele quando Marina trascorreva ore e ore nella suite del Diamante, aspettando e condividendo. E con lei c'erano tutti e quattro i fratelli e le sorelle. Molto più di una foto di rito.

Dicono ci sia lei dietro l'uscita di scena del cerchio magico: certo il piglio decisionista, tratto complementare di una personalità complessa, non le manca. Le sue, vedi De Benedetti, sono sciabolate. Colpi di rasoio che lasciano il segno. Con Daniele Manca del Corriere della Sera, così infilzava Matteo Renzi il 30 aprile dell'ormai lontano e non sospetto 2014: «Più forti sono le aspettative che si generano, più gravi saranno i danni se le promesse non seguiranno». Altri manovravano il turibolo e spargevano incenso, lei colpiva ruvida. Pronta a infilzare anche quelli che hanno smobilitato, abbandonando la corte di Arcore: «L'unica cosa in cui sono grandi è la mediocrità».

Forse per questo i giornali hanno scritto infinite volte che la discesa in campo era imminente. Lei non si è mai pronunciata, ma il grande passo nella Dinasty di Arcore - fosse tentazione o un mezzo supplizio - non c'è stato. E il metronomo è rimasto sempre lo stesso: ufficio e famiglia. Pochi riflettori, copertine non ricercate, rare interviste, qualche zampata per difendere il padre sotto perenne assedio, zero voglia di apparire. Solida, ma soprattutto in grado di sganciarsi, senza rimanere imprigionata nel mito, e di impugnare le forbici nel momento della necessità.

Nei giorni scorsi ha già festeggiato e spento le candeline, come

ricordava sul Messaggero Maria Latella, insieme alla madre Carla Elvira Dall'Oglio, nella tranquillità della Costa Azzurra. Ieri sera la replica, secondo il format della grandeur paterna, fra le meraviglie di Villa Certosa.

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