Non ha indirizzi fisici, Pavel Durov, 39 anni. Da sempre è un globetrotter con la rete Internet come unica casa. Ribattezzato lo «Zuckerberg russo», per lui la libertà individuale è sempre stata al di sopra di tutto; una scelta o piuttosto un approccio di business che gli ha causato da subito parecchi problemi. Ma che oggi gli permette di vantare 900 milioni di utenti in tutto il mondo sulla sua app di messaggistica, Telegram; in odore, fino a ieri, di quotazione a Wall Street.
L'hanno arrestato sabato sera nel piccolo aeroporto Le Bourget di Parigi, appena sceso da un volo proveniente da Baku, Azerbaigian. La polizia francese ha fermato l'informatico franco-russo, diventato in pochi anni imprenditore miliardario, appena sceso dal suo jet, come si fa con i criminali della peggior specie. E subito si è aperto un durissimo botta e risposta tra le autorità d'Oltralpe e quelle di Mosca. Dal ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha fatto sapere che l'ambasciata a Parigi «lavora» sulla vicenda, sebbene i legali di Durov non l'abbiano chiesto. Insomma, è tirato per la giacca dalla vecchia madre patria, dov'è nato e in cui ha esordito prima di scomparire dall'orbita del Cremlino per dirsi libero.
Durov, che in teoria vive negli Emirati Arabi, a inizio carriera s'inventò infatti una sorta di Facebook in cirillico facendo infuriare Mosca visto il successo di VKontakte, lanciata nel 2006. Poi diventò antipatico anche all'Eliseo. L'evoluzione dell'altra creatura sua e del fratello Nicolaj, l'app Telegram nata nel 2013 per assecondare un mantra libertario, ha attratto nel frattempo politici e imprenditori desiderosi di riservatezza, usata dai dissidenti nelle dittature ma pure da criminali e pedofili. Segretezza delle informazioni. Telegram, infatti, a differenza della rivale Whatsapp, non collabora con la polizia. E men che meno con i governi. Nel 2013, quando esplosero le proteste europeiste in Ucraina, Durov si rifiutò di fornire a Mosca i dati degli utenti di VK, cedendo l'azienda ed espatriando nel 2014 con la nuova idea in tasca. E quando di recente i tribunali Ue hanno interpellato Telegram per avere dati utili a inchieste, lui non ha risposto. È stato dunque arrestato in Francia. Forzando il diritto, è considerato ora una sorta di complice per mancata collaborazione in indagini che vanno da frodi via Telegram al traffico di droga fino a molestie informatiche e sostegno al terrorismo.
La giustizia francese guarda all'enigma Durov come a un personaggio in chiaroscuro sin dagli attentati islamisti del 2015 a Parigi, in parte organizzati proprio tramite Telegram, via via diventato il canale di comunicazione preferito dagli adepti dell'Isis. Discreta, economica, funzionale, dell'app pure la Commissione chiede da tempo conto a Durov, sul numero di iscritti, perché le piattaforme con più di 45 milioni di utenti, come Instagram e TikTok, nell'Ue sono soggette alla DSA, la regolamentazione dei servizi digitali, mentre Telegram ne dichiara circa 42 milioni nel Vecchio Continente e non dà possibilità di verifica. Durov, attenzionato da tempo pure dall'Fbi, resta ambiguo. Madre francese, padre russo e infanzia italiana a Torino, ha raccontato pure d'aver circa 100 figli biologici: una clinica della fertilità lo definì donatore di sperma di alta qualità ed ha abbracciato un «dovere civico». Telegram si guadagnava intanto un ruolo nei finanziamenti per operazioni jihadiste. E con l'introduzione dei canali reclutatori d'ogni sorta hanno iniziato a usarla per far proselitismo trasformandola in newsletter dell'odio: gli iscritti ricevono i contenuti ma non possono interagire con l'amministratore. Oggi ci sono tv, giornali e capi di Stato su Telegram, incluso Papa Francesco, ma nessuno può dire di sapere cosa ci sia davvero nel magma degli oltre 20 miliardi di messaggi scambiati ogni giorno. Tranne, forse, Durov stesso. È stato tradito da «un senso di impunità», forte di un patrimonio di circa 15 miliardi di dollari, fa filtrare una delle fonti vicine al dossier. A Parigi sapeva cosa l'aspettava. L'Ofmin, l'ufficio francese per la lotta alla violenza sui minori, si era infatti interessato a lui in quanto Ceo. Ora il destino dell'app è appeso all'inchiesta. Che potrebbe aprire una «trattativa». Spalle al muro, Durov è a un bivio. Tra princìpi, pragmatismo, realpolitik e vil denaro. Telegram genera «centinaia di milioni di dollari» di entrate tramite spazi pubblicitari, commissioni sui pagamenti in criptovaluta e abbonamenti, spiegava mesi fa al FT, insistendo sulla monetizzazione del pubblico.
Il debito è significativo, ma l'obiettivo era (ed è) rendere Telegram un'attività redditizia nel 2025. Intavolando un accordo con le autorità potrebbe forse tornare libero, impegnandosi a collaborare in caso di richieste di governi occidentali e tribunali.
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