Le verità del "colpo di Stato" dem che ha spodestato Biden

Il ritiro di Biden dettato da logiche di partito

Le verità del "colpo di Stato" dem che ha spodestato Biden
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Se n'è andato per salvare la democrazia o perché piegato dalla malattia? In verità non s'è capito. O meglio Joe Biden durante il suo discorso d'addio, pronunciato ieri dalla scrivania dello Studio Ovale, s'è ben guardato dal chiarirlo. Anche perché la verità rischia di essere estremamente imbarazzante. Ammettendo di non aver più la lucidità necessaria per affrontare un'elezione distante poco più di tre mesi il presidente svelerebbe una verità assai più pesante. Quella di un'America e di una valigetta nucleare destinate a restare fino al prossimo gennaio nelle mani di un Comandante in Capo non più all'altezza delle proprie scelte. Come dire che da qui in avanti molte delle decisioni verranno delegate ad una Kamala Harris troppo impegnata nella campagna elettorale per guidare il Paese o, peggio, a personaggi mai eletti.

Insomma una condizione non proprio in linea con le attestazioni presidenziali di assoluta fedeltà alla democrazia. E neppure con la sicurezza e le politiche di una super-potenza che oltre ad essere pesantemente coinvolta in Ucraina è anche chiamata a evitare pericolose escalation mediorientali e a contenere le mire cinesi su Taiwan. Ma se il suo addio alla competizione non è dettato dalla consapevolezza di aver perso la necessaria lucidità intellettuale allora la realtà rischia di essere anche peggiore. Soprattutto per le regole di una democrazia che il presidente sostiene di voler anteporre alle proprie ambizioni. Perché vorrebbe dire che qualcuno all'interno del suo partito lo ha messo con le spalle al muro costringendo un presidente eletto ad assumere scelte contrarie alla propria volontà. Una scelta che secondo voci anonime, ma assai qualificate citate dai media statunitensi, gli sarebbe stata imposta dall'ex presidente del Congresso Nancy Pelosi, dall'ex presidente Barack Obama e da Chuck Schumer, il capogruppo dei democratici al Senato.

Insomma la presunta «difesa della democrazia» celerebbe in verità una sorta di colpo di stato organizzato dai vertici di un partito preoccupato dalla prospettiva di un disastro elettorale. Un vero colpo basso nei confronti di tutti quegli elettori democratici che alle primarie hanno votato i delegati pronti a confermare la candidatura di Joe Biden e che ora dovranno convergere su Kamala Harris. Ma la verità rischia di essere ancora peggiore di queste due supposizioni.

Perché nei fatti l'America oltre a restare formalmente nelle mani di un presidente intellettualmente menomato è anche in quelle di un'invisibile «élite» democratica decisa a governare da dietro le quinte per almeno sei mesi.

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